« Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo, il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo. » (John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re)
giovedì 28 febbraio 2013
mercoledì 27 febbraio 2013
Raido: Quaderno 1 - “Il Mondo della Tradizione”
Si riparte con l'attività di formazione tradizionale presso il centro studi aurhelio.
PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE
PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE
Sono passati alcuni anni da quando, poco dopo il Natale di Roma del 1997, abbiamo dato vita a questo scritto. Erano i primi anni di Raido, si organizzavano le prime iniziative culturali e l’entusiasmo che permeava ogni attività militante era palpabile: un fuoco che necessitava di manifestarsi. Il quaderno n. 1 della collana La formazione del Militante della Tradizione nasceva all’insegna di questo clima, con l’esigenza di essere uno strumento in grado di offrire al giovane militante più di un momento di riflessione. Lo scopo prefissato era risvegliare l’interesse per la Tradizione e favorire, attraverso un’introduzione alla dottrina, quel processo di conoscenza necessario alla crescita personale. Da sempre, infatti, abbiamo precisato come l’approfondimento culturale sia indispensabile all’interno del percorso di formazione tradizionale, approfondimento che, lungi dall’essere un inutile esercizio accademico, sia in grado di conferire consapevolezza e cognizione di causa all’azione militante. Quest’ultima, non ci stancheremo mai di ripeterlo, resta il principale metro di giudizio, visto che è lo stile e non i titoli, gli studi, o semplicemente le parole, a caratterizzare un uomo e la sua condotta esistenziale.
Rispetto a ieri, oggi nulla è cambiato in questo senso. Sicuramente gli anni di attività ed esperienze trascorsi ci hanno permesso di consolidare e migliorare il lavoro per il fronte della Tradizione e la voglia di lottare in funzione della Verità e della Giustizia, il fuoco che allora bruciava nei nostri cuori, quel fuoco che ha dato vita alla comunità militante di Raido più di quindici anni fa, oggi è quanto mai forte ed intenso.
Cambiamenti, invece, e non poteva essere altrimenti, sono avvenuti all’interno della società moderna, o meglio abbiamo assistito ad un’accelerazione a ritmi vertiginosi tesa al consolidamento della visione del mondo individualista, materialista e desacralizzata. E ciò ha reso ancora più evidente come il mondo moderno, col suo equilibrio terribilmente instabile, sia ormai diretto al capolinea. Il che, tuttavia, non deve trarre in inganno, inducendo a pensare che le cose andranno a migliorare in maniera “naturale”. Tutt’altro: lo sforzo per vivere in maniera retta la fase finale di quest’epoca, richiederà sempre più forza di volontà e coraggio per resistere alle vorticose correnti della decadenza, sarà necessaria quella “linea di maggior resistenza” che indica Evola per formare un “carattere” che orienti la vita verso un reale rinnovamento spirituale. Ed allora come è necessaria la virtù affinché un uomo rimanga in piedi in un mondo in rovina, virtù da vivificare quotidianamente attraverso l’impegno militante, nel contempo è fondamentale avere saldi e precisi punti di riferimento, una bussola che indichi il “nord” del proprio cammino. Per noi, oggi come allora, la Tradizione è il riferimento, la stella polare che permette di orientarsi nella notte scura e il quaderno n. 1, giunto alla sua terza edizione, vuole rappresentare un’introduzione senza pretese alla sua dottrina, il punto di partenza di un percorso di scoperta e conoscenza tanto affascinante quanto impegnativo. Questa pubblicazione, ne siamo convinti, è un contributo a disposizione di chi crede possibile un’esistenza diversa da quella “moderna”, un’esistenza retta dai valori di Verità e Giustizia, di Onore e Fedeltà, dove ha ancora un senso la parola data e la capacità di rinunciare ai propri interessi per un bene comune, dove non è il falso ed ipocrita sentimentalismo a regolare i rapporti tra gli uomini, ma l’Amore virile di chi considera la vita un dono prezioso che non deve essere sprecato.
Rispetto a ieri, oggi nulla è cambiato in questo senso. Sicuramente gli anni di attività ed esperienze trascorsi ci hanno permesso di consolidare e migliorare il lavoro per il fronte della Tradizione e la voglia di lottare in funzione della Verità e della Giustizia, il fuoco che allora bruciava nei nostri cuori, quel fuoco che ha dato vita alla comunità militante di Raido più di quindici anni fa, oggi è quanto mai forte ed intenso.
Cambiamenti, invece, e non poteva essere altrimenti, sono avvenuti all’interno della società moderna, o meglio abbiamo assistito ad un’accelerazione a ritmi vertiginosi tesa al consolidamento della visione del mondo individualista, materialista e desacralizzata. E ciò ha reso ancora più evidente come il mondo moderno, col suo equilibrio terribilmente instabile, sia ormai diretto al capolinea. Il che, tuttavia, non deve trarre in inganno, inducendo a pensare che le cose andranno a migliorare in maniera “naturale”. Tutt’altro: lo sforzo per vivere in maniera retta la fase finale di quest’epoca, richiederà sempre più forza di volontà e coraggio per resistere alle vorticose correnti della decadenza, sarà necessaria quella “linea di maggior resistenza” che indica Evola per formare un “carattere” che orienti la vita verso un reale rinnovamento spirituale. Ed allora come è necessaria la virtù affinché un uomo rimanga in piedi in un mondo in rovina, virtù da vivificare quotidianamente attraverso l’impegno militante, nel contempo è fondamentale avere saldi e precisi punti di riferimento, una bussola che indichi il “nord” del proprio cammino. Per noi, oggi come allora, la Tradizione è il riferimento, la stella polare che permette di orientarsi nella notte scura e il quaderno n. 1, giunto alla sua terza edizione, vuole rappresentare un’introduzione senza pretese alla sua dottrina, il punto di partenza di un percorso di scoperta e conoscenza tanto affascinante quanto impegnativo. Questa pubblicazione, ne siamo convinti, è un contributo a disposizione di chi crede possibile un’esistenza diversa da quella “moderna”, un’esistenza retta dai valori di Verità e Giustizia, di Onore e Fedeltà, dove ha ancora un senso la parola data e la capacità di rinunciare ai propri interessi per un bene comune, dove non è il falso ed ipocrita sentimentalismo a regolare i rapporti tra gli uomini, ma l’Amore virile di chi considera la vita un dono prezioso che non deve essere sprecato.
Uno scritto, quindi, diretto a chi sente il bisogno di ribellarsi all’ingiustizia ed alla menzogna e che “apre” la collana La formazione del militante della Tradizione la quale comprende altri tre quaderni, di cui il secondo già disponibile mentre gli altri lo saranno a breve. Scopo della collana, lo accenniamo, è di esporre un metodo operativo che aiuti a formare il singolo secondo i principi tradizionali, un metodo che conferisce particolare importanza sia al ruolo della comunità e sia agli aspetti che devono caratterizzare la vita di ogni militante nella sua completezza. La comunità, infatti – come insieme di uomini che dotati di un comune sentire vivono in armonia, serenità ed equilibri – è il luogo in cui si esplica il confronto costruttivo, strumento grazie al quale ognuno, togliendo la maschera dei propri pregiudizi, rivedendo aspetti del proprio carattere, sostenendo chi ha sbagliato e vuole riscattarsi, concorre a realizzare un unico progetto in cui a prevalere non è l’inclinazione o l’opinione personale, ma l’azione che il gruppo ha deciso di compiere. Gli aspetti che devono caratterizzare la vita di ogni militante, invece, si delineano attraverso l’attenzione costante che deve essere posta in ogni attività condotta, è l’attenzione che ben esplicita l’intenzione ed illumina il gesto, è lo sforzo richiesto nell’affermare sempre, indipendentemente dal contesto in cui il militante si trova (lavoro, famiglia, sezione o associazione, amici, ecc.), uno stile retto, ventiquattrore al giorno e 365 giorni l’anno; un modo concreto per imparare ad essere coerenti, per ridurre la distanza tra ciò che si dice di essere e ciò che si fa nell’esistenza quotidiana. D’altronde l’adesione ai valori della Tradizione per essere reale e tangibile, deve essere vissuta in maniera integrale e totale1.
In conclusione, è giusto esprimere un ringraziamento nei confronti di chi, confermandoci simpatia ed entusiasmo, ha ritenuto opportuno utilizzare questo scritto come vademecum in gruppi di studio di giovani militanti e a quanti negli anni si sono prodigati per la sua diffusione, permettendone numerose traduzioni ed edizioni anche al di fuori dei confini nazionali. E’ un’ulteriore conferma della bontà di questo lavoro2.
In conclusione, è giusto esprimere un ringraziamento nei confronti di chi, confermandoci simpatia ed entusiasmo, ha ritenuto opportuno utilizzare questo scritto come vademecum in gruppi di studio di giovani militanti e a quanti negli anni si sono prodigati per la sua diffusione, permettendone numerose traduzioni ed edizioni anche al di fuori dei confini nazionali. E’ un’ulteriore conferma della bontà di questo lavoro2.
In alto i cuori!
Roma, equinozio di primavera 2010
Note
1 Abbiamo accennato a quello che è giusto definire un vero e proprio metodo operativo applicato all’interno della comunità di Raido, metodo approfondito in particolare nel quaderno n. 3 laddove, oltre a quanto sopra menzionato, ne sono evidenziate altre caratteristiche. Tra queste, senza poter essere esaurienti, ricordiamo: la necessità di qualificarsi sul piano militante (eccellendo in qualcosa, anche in base alle proprie attitudini ed esperienze), il rispetto della gerarchia (gerarchia che si fonda sulla maggiore o minore adesione ai valori tradizionali, adesione testimoniata dallo stile di vita del militante: ognuno si colloca nel posto che gli compete sulla base di questo principio. Altra cosa è il gerarchismo, che ovviamente non ci appartiene), la costanza nella militanza (ritmo quotidiano, settimanale, mensile; non esistono impegni portati avanti come momentanee fiammate, ma esiste la costanza della militanza inesorabile, implacabile, una “goccia cinese” che permette di lavorare sul proprio carattere. Militanza intesa come tenuta nel tempo), il rispetto dell’impegno preso e della scadenza prefissata (prendersi impegni e portarli avanti senza il rispetto di una scadenza è inutile sul piano formativo; il limite temporale impone lo sforzo e l’impegno ad essere uomini d’onore, che a ciò che dicono danno seguito nell’operato), il principio della responsabilizzazione (mettersi in gioco sempre, attivarsi come se per ogni attività intrapresa si è responsabile e non semplice esecutore. Attitudine quindi ad essere a disposizione, al donarsi, all’anteporre l’interesse comune a quello personale, una visione globale ad una parziale) ed altro ancora per la lettura di cui rimandiamo allo specifico quaderno.
2 E’ probabile che la forma linguistica adottata, specie in alcuni paragrafi, possa risultare di difficile comprensione. A tale proposito, invitiamo tutti i lettori che lo riterranno opportuno a segnalarci le loro preziose impressioni e/o suggerimenti di cui terremo conto per le future edizioni.
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sabato 23 febbraio 2013
Elementi della cultura tradizionale
Documenti per il Fronte della Tradizione - Fascicolo n. 33
di Antonio Medrano
€4.00 - 40 pg.
Gli scritti di Antonio Medrano, "Elementi fondamentali della cultura Tradizionale" e "Il modo di vita Tradizionale" rappresentano un sicuro punto di riferimento per il militante del Fronte della Tradizione.
Per noi di Raido, non si tratta di una semplice lettura, ma qualcosa di più, due saggi che rappresentano il modello esistenziale a cui far iferimento nell´azione quotidiana. Un orientamento dottrinale, che va oltre le belle parole, e che determina un modo d´essere e un´appartenenza.
Se da una parte vi è l´uomo moderno, privo di qualsiasi solidarietà e d´identità, un individuo spinto ad agire dall´utilitarismo e dal proprio egoismo, dall´altra parte, vi è l´uomo della Tradizione che ancora percepisce vivo nel proprio cuore la presenza del Sacro.
Un uomo, che dinanzi alla follia del mondo moderno, costruito sul profitto e sulla sopraffazione, oppone un impegno totale per lottare contro ogni abuso e devianza. Si tratta di assumere una disciplina che abbia come scopo il dominio di sé, che valga a ripristinare il senso Sacro della Tradizione, come visione del mondo e come Stile.
Un´azione che sappia diventare "volontà di riscatto", che determini una continua tensione a migliorarsi e che incida positivamente nella realtà circostante.
È necessaria un´educazione severa diretta a formare un Uomo Nuovo, perché ciò che non è giusto e vero, non è neanche utile.
Non è più tempo di arrampicarsi sugli specchi, lo Stile non può essere appreso o inventato è una questione di "qualità", è un sentire profondo reale, allora o lo si possiede o si è altro ... solo perdita di tempo.
RAIDO
domenica 17 febbraio 2013
Il navigare come simbolo eroico, di Julius Evola
Se vi è una caratteristica delle nuove generazioni, essa è il superamento dell'elemento "romantico"; il ritorno all'elemento epico. Non interessano più parole, complicazioni psicologistiche e intellettualistiche, quanto azioni. E il punto fondamentale è questo: che, a differenza di quanto è proprio ai fanatismi e alle deviazioni "sportive" delle razze anglosassoni, le nostre nuove generazioni tendono a superare il lato puramente materiale dell'azione, tendono ad integrare e chiarificare questo lato con un elemento spirituale, tornando, più o meno consciamente, a quell'agire, che è un liberarsi, un prender contatto reale, e non estetistico e sentimentale, con le grandi potenze delle cose e degli elementi.
Ora, vi sono ambienti naturali che più particolarmente propiziano queste possibilità liberatrici e reintegratrici dell'epica dell'azione, e sono l'alta montagna e l'alto mare, con i due simboli dell'ascendere e del navigare. Qui per via più immediata, la lotta contro le difficoltà e contro i pericoli materiali, si fa mezzo per compiere simultaneamente un processo di superamento interno, per compiere una lotta contro elementi che appartengono alla natura inferiore dell'uomo e che debbono esser dominati e trasfigurati.
Qualche generazione di superstizione positivistica, e materialistica ha fatto sì che tante belle e profonde tradizioni dell'antichità siano state sepolte nell'oblio, ovvero siano date unicamente come oggetti di curiosità erudita: ignorando e facendo ignorare il significato superiore di cui esse restano sempre suscettibili e che può esser sempre ridestato e rivissuto.
Ciò, per esempio, va detto per l'antico simbolismo della navigazione, che è uno dei simbolismi tradizionali più diffusi in tutte le civiltà premoderne, ritrovabile con i caratteri di una uniformità strana, che ci fa pensare quanto universali e profonde debbon esser state certe esperienze spirituali dinanzi alle grandi forze degli elementi. E su ciò non crediamo inopportuno dar qui un qualche cenno.
Il navigare - e in particolare il traversare le acque tempestose - è stato tradizionalmente innalzato al valore di simbolo, in quanto nelle acque, come acque di oceano o acque di correnti, fu sempre figurato l'elemento instabile, contingente della vita terrena, della vita soggetta a decadenza, a nascita ed a morte - e fu inoltre e più particolarmente raffigurato l'elemento passionale e irrazionale che altera questa stessa vita. Se la terraferma, sotto un primo aspetto, valse come sinonimo di mediocrità, di esistenza pavida e piccola poggiata su certezze e sostegni la cui stabilità è tutta illusoria - il lasciar la terraferma, il volgere verso il largo, l'affrontar intrepidamente la corrente o l'alto mare, dunque il "navigare", apparve spontaneamente come l'atto epico per eccellenza, non pure nel senso immediato, ma anche nel senso spirituale.
In navigatore si presentò dunque come un sinonimo di eroe e di iniziato, come sinonimo di colui che, lasciato il semplice "vivere", vuole arditamente un "più che vivere", nel senso di uno stato superiore alla caducità e alla passione.
Sorge allora il concetto dell'altra terraferma, quella vera, che si identifica con la stessa mèta del "navigatore", con la conquista propria alla epica stessa del mare: e 1'"altra riva", è la terra prima sconosciuta, inesplorata, inaccessibile, data dalle antiche mitologie e dalle antiche tradizioni con i simboli più vani, fra i quali è però frequentissimo quello della isola, immagine per la fermezza interiore, per la calma e il dominio di colui che ha felicemente e vittoriosamente "navigato" portandosi fra le onde o l'impetuosa corrente, ma senza divenirne preda.
L'attraversare una grande corrente a nuoto o come pilota di un battello era fase simbolica fondamentale nella cosiddetta "iniziazione regale" che si celebrava ad Eleusi. Giano, l'antica divinità della Romanità, dio dei cominciamenti e quindi anche, in senso eminente, della iniziazione quale "vita nova", era anche dio del navigare; aveva fra le sue insegne caratteristiche la nave. E questa nave di Giano, come pure le sue due chiavi son passate poi nella tradizione cattolica, figurando nella nave di San Pietro e, in genere nel simbolismo della funzione ponteficale. Ora si potrebbe rilevare che lo stesso termine pontifex, nelle antiche etimologie romane, significava il "facitore di ponti"; che pons però arcaicamente significava anche via e come "via" veniva anche concepito il mare, e il Ponto venne detto così per non diversa ragione. Onde vediamo come, per occulte trame, fino in parole e in segni, oggi quasi non più compresi, si siano trasmessi elementi dell'antica concezione del navigare come simbolo.
Nel mito caldaico dell'eroe Gilgamesh noi troviamo un esatto fac-simile di quello dell'Eracle dorico che coglie il frutto di immortalità del giardino delle Esperidi avendo traversato prima il mare, sotto la guida di Atlante il titano. Anche Gilgamesh affronta la via del mare, salpa, seguendo la via occidentale, cioè la via atlantica, verso una terra o isola, ove egli cerca "l'albero di vita", mentre l'Oceano è paragonato significativamente alle "acque oscure della morte". E se noi ci spostiamo verso l'Oriente e l'Estremo Oriente, troveremo echi di eguali esperienze spirituali legati ai simboli eroici ed epici del navigare, del guadare, del salpare.
Come l'asceta buddista fu frequentissimamente comparato a colui che affronta, taglia e vince la corrente, a colui che guada, a colui che naviga glorioso contro corrente, nelle acque essendo figurato appunto tutto quel che viene dalla sete animale di vita e di piacere, dal vincolo dell'egoismo e dall'attaccamento degli uomini - così, nello stesso Estremo Oriente si trova il tema ellenico della "traversata" e del raggiungimento di "isole", nelle quali la vita non è più mista a morte: come l'Avallon o il Mag Mell atlantico delle leggende irlandesi e celtiche.
Ci si porti nell'Egitto antico e fin nel Messico precolombiano: direttamente o indirettamente ritroviamo non dissimili elementi. E li ritroviamo altresì nelle leggende nordico-ariane. La stessa impresa dell'eroe Siegfried nell'isola di Brunhild comprende essenzialmente il simbolismo della navigazione, della traversata del mare: Siegfried, secondo il Nibelunglied, è colui che dice: "Le vere vie del mare mi sono conosciute. Io posso condurvi sulle onde".
Noi potremmo mostrare che la stessa impresa di Cristoforo Colombo ebbe più rapporti di quel che comunemente si sappia con le oscure idee circa una terra, ove, secondo alcune leggende medioevali, si troverebbero "profeti mai morti", circa un "eliseo transatlantico" che appunto rientra nel simbolismo ora detto. Inoltre, potremmo mostrare perché il concetto del talassocrate, del "signore dei mari" o delle "acque", molto spesso si collegò anticamente con il concetto del legislatore in senso superiore (p.es. nel mito pelasgico di Minos): potremmo sviluppare l'idea racchiusa nelle figurazioni di colui "che sta sulle acque" o "cammina sulle acque" o e salvato dalle acque" (da Narâyâna a Mosè, a Romolo, a Cristo) ma tutto ciò ci porterebbe troppo lontano, e forse vi torneremo in un'altra occasione.
"Vivere non necessita. Navigare è necessario". Questa parola ancor oggi (1933 - n.d.r.) vive, ancor oggi è sentita, ed avvia una delle migliori correnti della nuova epica dell'azione - "Dobbiamo tornare ad amare il mare, a sentire l'ebbrezza del mare, perché vivere non necesse sed navigare necesse est" ebbe a dire lo stesso Mussolini. Ma in questa formula, presa nel suo aspetto più alto, non sussiste forse l'eco di quegli antichi significati?
Non sussiste forse l'idea del navigare come più che vita, come attitudine eroica, come avviamento a forme superiori di esistenza?
Che là dove regna il grande, libero respiro del largo, ove si sente tutta la forza di ciò che è senza limiti, sia nella sua calma possente e profonda, sia nella sua terribilità elementare - che sui mari e sugli oceani nuove generazioni sappiano dare "epicamente" alla vicenda fisica del navigare un'anima metafisica, tanto da conferire allo stesso eroismo e allo stesso ardire il valore di un mezzo trasfigurante e da risuscitare così ciò che si celava nelle antiche tradizioni del salpare e del navigare come simbolo e del mare come via verso qualcosa di non più e di non soltanto umano - questo ci sembra uno dei punti più alti che possono orientare le forze di resurrezione in atto nella nuova Italia.
titolo: Il navigare come simbolo eroico
autore/curatore: Julius Evola
fonte: Simboli della Tradizione Occidentale
lingua: italiano
data di pubblicazione su juliusevola.it: 08/11/2004
fonte: Simboli della Tradizione Occidentale
lingua: italiano
data di pubblicazione su juliusevola.it: 08/11/2004
venerdì 15 febbraio 2013
Sorvegliamo noi stessi, i tempi che stanno arrivando saranno molto difficili ....
La crisi della Chiesa, lampante come non mai, si palesa nelle dimissioni del Papa. La volontà di affidarsi al soglio di Pietro, sempre più sotto l'attacco per raggiungere la vittoria delle forze della sovversione, diventa sempre più difficile da vivere. Occorre imparare, dunque a sorvegliare ed a sorvegliare ancor più noi stessi, i tempi bui sono dietro l'angolo...
QUANDO TORNERÀ IL FIGLIO DELL’UOMO
Spero nessuno si aspetti da me un commento sulla rinuncia di Benedetto XVI. Non ho notizie diverse da quelle di tutti voi. Né mi va di contribuire al chiacchiericcio mediatico, ai giudizi (molti) temerari, e – spaventevole a dirsi – alle derisioni che hanno accompagnato l’evento e la persona («Papus Interruptus», se la ride il francese Libération, organo della sinistra al caviale stipendiato da Rotschild).
Non ci sono analisi da fare, al di là di un costernato silenzio. La crisi della Chiesa e l’abbandono della fede sono fatti evidenti. «È il popolo che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato il popolo?»: questa frase di don Giussani attende ancora una risposta. Il residuo «popolo» è fratturato in gruppi incomunicanti, ciascuno coi suoi riti, linguaggio e sistema di credenze, alcuni dei quali hanno metodi di reclutamento «americani», da born again christians o da «alcoholics anonimous», e liturgie di loro invenzione. Neocatecumenali, pentecostali, ciellini, lefebvriani... che esista ancora un’unità dottrinale, poniamo, che colleghi l’Opus Dei e i seguaci di Kiko Arguello, è estremamente dubbio.
Che questa inconciliabilità esploda alla luce, temibilmente probabile. Il pericolo che queste fratture diventino «chiese» settarie, è presente. Che la patologia dipenda dal Concilio Vaticano ultimo, è un fatto – che viene negato, oppure salutato come «profetico» e benefico. Salgono le voci che esigono «un nuovo Concilio», e pretendono «più collegialità»: sorde al fatto che Cristo non ha istituito un collegio, che le conferenze episcopali sono «unioni di fatto» senza alcun fondamento teologico, né che come diceva il cardinale Oddi, sardonico e teologicamente inconcusso: «Il solo caso di collegialità che si trova nel Vangelo è raccontato con questa frase: “...E tutti i discepoli, abbandonato Gesù, fuggirono»: Matteo 26, 56. La mancanza di vocazioni è già tragica, presto ci mancherà il prete che ci dia la Comunione.
Non ci sono analisi da fare, al di là di un costernato silenzio. La crisi della Chiesa e l’abbandono della fede sono fatti evidenti. «È il popolo che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato il popolo?»: questa frase di don Giussani attende ancora una risposta. Il residuo «popolo» è fratturato in gruppi incomunicanti, ciascuno coi suoi riti, linguaggio e sistema di credenze, alcuni dei quali hanno metodi di reclutamento «americani», da born again christians o da «alcoholics anonimous», e liturgie di loro invenzione. Neocatecumenali, pentecostali, ciellini, lefebvriani... che esista ancora un’unità dottrinale, poniamo, che colleghi l’Opus Dei e i seguaci di Kiko Arguello, è estremamente dubbio.
Che questa inconciliabilità esploda alla luce, temibilmente probabile. Il pericolo che queste fratture diventino «chiese» settarie, è presente. Che la patologia dipenda dal Concilio Vaticano ultimo, è un fatto – che viene negato, oppure salutato come «profetico» e benefico. Salgono le voci che esigono «un nuovo Concilio», e pretendono «più collegialità»: sorde al fatto che Cristo non ha istituito un collegio, che le conferenze episcopali sono «unioni di fatto» senza alcun fondamento teologico, né che come diceva il cardinale Oddi, sardonico e teologicamente inconcusso: «Il solo caso di collegialità che si trova nel Vangelo è raccontato con questa frase: “...E tutti i discepoli, abbandonato Gesù, fuggirono»: Matteo 26, 56. La mancanza di vocazioni è già tragica, presto ci mancherà il prete che ci dia la Comunione.
Io spero solo che non tocchino l’Eucarestia, che vedo già in pericolo in molte chiese. Bisogna pregare molto, lo dico a me stesso più che a voi. La sensazione generale è che questa non sia una svolta, ma un capolinea.
Mi si citano profezie di sventura, Akita, Garabandal, Fatima, Medjugorje. Le ascolto, come tutti, come annunci inquietanti, ma ricordo a me stesso che in certi momenti le «profezie» possono essere utilizzate per diffondere suggestioni collettive, nel senso desiderato da poteri nient’affatto «secolarizzati», che non hanno per nulla rinunciato ai loro antichi «rituali», e non li ritengono affatto superati nella loro funzione di evocatori di Potenze, le Potenze omicide che agiscono nel buio.
Un padre francescano, santo, dice invece: «È tutta luce». Ciò che cadrà, era ciò che doveva cadere, come le foglie secche del vecchio albero. È la speranza a cui mi aggrappo. La questione è nelle mani di Dio. Cerchiamo di sorvegliare noi stessi, nei tempi imminenti che saranno difficili.
Mi basta la profezia di Cristo: «Quando tornerà il Figlio dell’Uomo, troverà ancora la fede sulla Terra?». È una domanda che pongo anzitutto a me: quando tornerai, Figlio dell’Uomo, troverai ancora la fede in Maurizio? Come vorrei poter rispondere «Sì», con slancio, senza esitazione, con piena infantile fiducia. Invece dico, come quel poveraccio del Vangelo: «Signore credo, ma tu sostieni la mia incredulità!».
Chi ha fede preghi molto, e preghi anche per me.
Mi si citano profezie di sventura, Akita, Garabandal, Fatima, Medjugorje. Le ascolto, come tutti, come annunci inquietanti, ma ricordo a me stesso che in certi momenti le «profezie» possono essere utilizzate per diffondere suggestioni collettive, nel senso desiderato da poteri nient’affatto «secolarizzati», che non hanno per nulla rinunciato ai loro antichi «rituali», e non li ritengono affatto superati nella loro funzione di evocatori di Potenze, le Potenze omicide che agiscono nel buio.
Un padre francescano, santo, dice invece: «È tutta luce». Ciò che cadrà, era ciò che doveva cadere, come le foglie secche del vecchio albero. È la speranza a cui mi aggrappo. La questione è nelle mani di Dio. Cerchiamo di sorvegliare noi stessi, nei tempi imminenti che saranno difficili.
Mi basta la profezia di Cristo: «Quando tornerà il Figlio dell’Uomo, troverà ancora la fede sulla Terra?». È una domanda che pongo anzitutto a me: quando tornerai, Figlio dell’Uomo, troverai ancora la fede in Maurizio? Come vorrei poter rispondere «Sì», con slancio, senza esitazione, con piena infantile fiducia. Invece dico, come quel poveraccio del Vangelo: «Signore credo, ma tu sostieni la mia incredulità!».
Chi ha fede preghi molto, e preghi anche per me.
Maurizio Blondet 12 Febbraio 2013
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lunedì 11 febbraio 2013
10 Febbraio – Giorno del Ricordo [recensione]
In occasione della giornata
nazionale del ricordo dei Martiri delle Foibe il Centro Studi Aurhelio ha
aperto la sua sede per commemorare i drammatici eventi che hanno visto più di
diecimila italiani delle provincie orientali vittime della pulizia etnica da
parte dei partigiani titini. In collaborazione con il Comitato “10 Febbraio”, per
l’occasione è stata allestita presso il nostro locale in via Aurelia 571 A , una mostra fotografica
per narrare la lunga e ricca storia giuliana, istriana e dalmata partendo
dall’età romana fino ai giorni nostri. Durante l’incontro, oltre alla
diffusione di materiale informativo sulle vicende legate alle foibe e
all’esodo, è stata organizzata la videoproiezione di un documentario riportante
le testimonianze dei superstiti sulle atrocità subite da parte dei comunisti
jugoslavi e sul clima di odio che hanno dovuto affrontare una volta rifugiatisi
in Italia dove si portavano dietro l’etichetta di fascisti.
Prima dei saluti finali, è
stato proiettato anche il film-documentario, prodotto dal Comitato 10 febbraio,
nel quale un ragazzo ed una ragazza - nipoti di esuli, ritornano nelle terre
dei loro nonni dove, tramite l’architettura degli edifici, le raffigurazioni e
le vicende storiche scoprono che ogni cattedrale, monumento e pietra, di fatto,
parla italiano.
Una bella occasione importante,
per riaffermare la nostra identità culturale, la nostra appartenenza e il senso
profondo della memoria. In un paese dove ogni anno la memoria tende a perdersi
e l’amministrazione comunale si dimentica di celebrare una solennità civile
nazionale, il Centro Studi Aurhelio ha lasciato un pezzetto di luce su una
realtà per molti ancora scomoda e spesso infangata da un giustificazionismo
ipocrita e colpevole.
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giovedì 7 febbraio 2013
Il flagello del personalismo
Il flagello del personalismo
di Julius Evola
Per un organizzarsi davvero efficace delle forze nazionalmente orientate una delle condizioni preliminari è il superamento del personalismo. Il personalismo è fra le disposizioni infelici del popolo italiano, specie nei suoi strati intellettuali, ed esso oggi persiste e si afferma anche fra i gruppi a noi idealmente più vicini, con effetti visibili e deprecabili di frazionamento, di dispersione delle energie, di distorsione.
Mentre l’esigenza del momento sarebbe la disciplina di forze coordinate in un blocco compatto, con al primo piano non gli individui, ma l’idea e l’azione in sé stessa, tuttora vige troppo spesso la tendenza ad andar per conto proprio, a costituire un proprio gruppetto usando le idee soprattutto per mettersi in mostra, per assicurarsi dei privilegi, per crearsi una certa sfera d’influenza. Così, anche se in proporzioni ridotte, tende a ripullulare la mala pianta del “gerarchismo”; il quale sia detto senza mezzi termini, costituisce l’antitesi di ogni vera gerarchia, la vera gerarchia non conoscendo personalismi, definendosi oggettivamente con l’autorità che procede dall’adeguarsi disindividualmente ad un principio e ad una funzione, e dal tenersi volentieri ognuno al suo giusto posto, senza scarti, tergiversazioni e manovre.
In pari tempo, vediamo oggi diffusa la mania della polemica, con lo stile di una reattività che quasi chiameremmo uterina. L’una cosa si tiene effettivamente insieme con l’altra: il personalismo e l’individualismo ne costituiscono parimenti la base. Per mettere in evidenza se stessi si sente il bisogno quasi isterico di attaccare l’uno o l’altro, di contrapporre formula a formula, parola d’ordine a parola d’ordine anche dove ad una disamina calma ed obbiettiva riuscirebbe facile mostrare che le ragioni di contrasto sono minime, che le contrapposizioni non son dovute all’aspetto dottrinale e intellettuale, ma essenzialmente ad un animus, ad un fattore irrazionale ed affettivo. Non si riconosce che, tutto sommato qui agisce semplicemente un “complesso di inferiorità”, perché chi è veramente certo del proprio valore e di quello della propria idea non sente il bisogno di attaccare a destra e a sinistra per “affermarsi”, non soggiace ad una incomposta reattività, non va in cerca di ogni possibile pretesto per dire la sua o per contrapporsi; procede invece per la sua via, secondo lo stile di una raccolta intensità e di un’azione indirizzata all’essenziale e al positivo, non all’accidentale e al negativo.
Come dicevamo, sono palesi gli effetti tutt’altro che costruttivi che oggi derivano da un orientamento del genere. Ad esempio, nell’ambito stesso della stampa d’intonazione su non diversa base noi vediamo nascere ora l’uno ed ora l’altro nuovo periodico, quasi sempre perché l’una o l’altra persona vuole assicurarsi una sua personale sfera d’influenza e di “giurisdizione”. Quali altri risultati non si conseguirebbero invece, quando queste singole possibilità venissero organizzate unitariamente, sulla base di una chiarificazione dottrinale fondamentale e, poi, di uno stile di disciplina d’impegno di impersonalità fattiva? Il sistema dei “gruppi” definiti da interessi di persone invece che da vere idee o con semplici parole d’ordine al posto di idee oggi da noi ha una efficienza tale, da ingenerare in moltissimi l’atteggiamento di un fondamentale sospetto. Così non si riesce quasi più a concepire che vi siano degli esseri liberi che vadano dritti per la loro via. Ci si chiede invece “chi sta dietro di lui”, si cerca di scoprire, al servigio di quali interessi, di quali “combinazioni”, di quali gruppi o gruppetti stiano le idee che uno difende, le cose che uno dice. Donde un naturale passaggio al pettegolezzo e alla diceria, la discesa ad un piano irrilevante di intrigo e di scandalismo, anche perché questo piano si presta meglio – di nuovo – a polemiche, attacchi e personalismi. Inutile, qui, addurre esempi che tutti conoscono. E’ inutile, anche, mettere in risalto quanto spesso un tale atteggiamento di sospetto e di intrigo distorce le cose e giova al giuoco degli avversari, facendo cadere tutto l’accento su quel che per taluno può essere solo un mezzo, per nulla il fine e il movente decisivo.
Sempre sulla stessa individualistica appartiene il settarismo e la concezione delle “contaminazioni”. Ad esempio, scrivere su di un foglio anziché su di un altro, è cosa che spesso crea automaticamente delle incompatibilità, dato appunto il sistema dei gruppi personalistici: vedere quali idee si difendano, accertare se uno scrittore resti o no coerente con se stesso, e solo ciò considerare come essenziale e serio – questo a molti riesce difficile. Si pretende, invece, che “si faccia gruppo”: anche quando non ce ne è proprio ragione, le finalità essendo le stesse una volta allontanate delle false “intransigenze”: FALSE, perché messe su soprattutto in funzione delle persone.
Le distorsioni cui abbiamo brevemente accennato sono deprecabili in qualsiasi clima politico. Ma nel momento attuale costituiscono un lusso che davvero non ci si dovrebbe permettere. La misura in cui esse potranno esser eliminate o ridotte in base ad una nuova serietà ed intensità, sarà anche quella di un progresso reale nel movimento della rinascita nazionale.
titolo: Il flagello del personalismo
autore/curatore: Julius Evola
fonte: Rivolta Ideale, 1951
lingua: italiano
data di pubblicazione su juliusevola.it: 03/02/2005
martedì 5 febbraio 2013
Giorno del Ricordo
Entriamo nella settimana del "Giorno del Ricordo", importante è tenere alta l'attenzione su questo dramma vissuto dal popolo italiano e poco conosciuto ....
lunedì 4 febbraio 2013
Assemblea sul Castello di Santa Severa, un successo
Bagno di folla per la presentazione del progetto sul castello di Santa Severa
SANTA MARINELLA - Bagno di folla per la presentazione del progetto di uso pubblico del castello di Santa Severa. Neanche le più rosee previsioni potevano infatti immaginare l’enorme successo ottenuto dalla presentazione del “Progetto per un uso pubblico del Castello di Santa Severa per fini socio-culturali e turistici” organizzata dal “Comitato Cittadino” nel cuore della Perla del Tirreno. Sabato pomeriggio una folla di più di 400 persone ha riempito completamente per oltre tre ore la Sala Flaminia Odescalchi per partecipare alla presentazione del progetto elaborato dal direttore del Museo Civico Flavio Enei, in collaborazione con il Comitato e con l’architetto David Pennesi, per assicurare un giusto futuro “di cultura e turismo” al complesso monumentale di Santa Severa, contro qualsiasi tentativo di privatizzazione di fatto del bene. La manifestazione, presentata dalla professoressa Francesca Musella, è stata aperta dall’intervento di Enei che ha illustrato la proposta di uso che prevede la creazione di un polo museale unico in Etruria, incentrato sulla Rocca del castello, sulla Torre Saracena, il Museo Nazionale Pyrgense e quello del Mare e della Navigazione Antica. Un Castello, aperto e visitabile per tutti, posto in condizione di raccontare con sistemi moderni multimediali la sua storia plurisecolare: un polo di promozione di attività culturali di formazione e turistiche per tutto il comprensorio. Con un limitato finanziamento iniziale di avvio, il centro congressi con foresteria, il punto di ristoro/caffetteria e i parcheggi possono senza alcuna difficoltà in breve tempo finanziare la gestione dell’impresa rendendola autonoma nel volgere di due anni. Fondamentale il collegamento del castello con la Riserva Naturale di Macchiatonda all’interno di un’unica area litoranea protetta a terra e a mare, con l’Oasi Blu estesa fino al castello arricchita dall’itinerario subacqueo “Pyrgi Sommersa”. La cornice generale in cui è inserito il progetto ripercorre le linee del “Sistema Cerite-Tolfetano-Braccianese” che alcuni anni addietro, su iniziativa di Santa Marinella, era stato felicemente avviato da Regione, Provincia e sette comuni del territorio per lo sviluppo socio-culturale e turistico del litorale attraverso la valorizzazione del patrimonio storico-archeologico e naturalistico dell’area compresa tra i Monti della Tolfa, il Lago di Bracciano e il litorale etrusco. L’architetto David Pennesi ha specificato con chiarezza le funzioni gestionali previste in relazione alla loro fattibilità e in rapporto con l’intero sistema territoriale. Gli interventi della professoressa Elisabetta Gallo e di Simonetta Gazzella del Comitato hanno quindi messo a fuoco la problematica vincolistica che per fortuna tutela il bene e le destinazioni d’uso della parte relativa ai servizi aggiuntivi in funzione di una gestione pubblica. Ha chiuso gli interventi del Comitato, Beatrice Cantieri che con un’ottima panoramica sulle reti territoriali attivate per la difesa del castello con il mondo dell’associazionismo e della scuola ha rivendicato il grande lavoro fatto come cittadini per la difesa del bene comune. Al termine della presentazione del lavoro sono intervenuti vari esponenti politici, candidati per le prossime elezioni alla Camera, alla Regione e al Comune (Emanuele Pepe, Andrea Bianchi, Stefano Massera, Massimo Padroni) che così come il Sindaco Roberto Bacheca, pur da posizioni diverse, hanno assicurato al Comitato il loro sostegno per il proseguimento della battaglia. Molto applaudito l’intervento di Cecilia D’Elia, vicepresidente uscente della Provincia di Roma, che tanto si è spesa sulle vicende castellane insieme ai consiglieri regionali e provinciali Gino De Paolis, Filiberto Zaratti e Guglielmo Abbondati, autori delle mozioni e delle interrogazioni pro castello insieme al consigliere Emiliano Minnucci. Presenti alla manifestazione i sindaci o i delegati rappresentanti i comuni del comprensorio scesi a fianco della battaglia del Comitato con apposite delibere di consiglio in difesa dell’uso pubblico del castello (per ora Cerveteri, Ladispoli, Bracciano, a breve Tolfa, Civitavecchia, Oriolo Romano); presenza illustre anche quella di Ennio La Malfa, presidente di Accademia Kronos, associazione di valenza nazionale aderente al Comitato. Infine, il Coro della Lituus Guido D’Arezzo diretto dal Maestro Cernicchiaro ha chiuso la manifestazione emozionando gli intervenuti sulle note del Nabucco di Verdi e del canto risorgimentale “Addio mia bella Addio!” applauditissimi. La delegazione di Civitavecchia della Federazione Italiana Cuochi, ormai in ora di cena, come da programma ha offerto al pubblico un ottimo e abbondante aperitivo. “Il clamoroso successo della manifestazione – dicono gli organizzatori - sta a dimostrare come l’opinione pubblica sia molto più attenta di quanto si creda ai temi della cultura e della valorizzazione dei nostri beni storico-archeologici e naturalistici ai fini della tutela e di uno sviluppo economico sostenibile e rinnovabile. Enei alla fine ha concluso: “C’è grande voglia di partecipazione per definire il futuro e nessuno pensi più di arrogarsi con decisioni dall’alto il destino di beni fondamentali che appartengono a tutti, anche alle generazioni che ancora devono venire”. Intanto il Comitato si attende che, così come promesso, l’amministrazione santamarinellese faccia acquisire l’idea progettuale dall’intero consiglio comunale per arrivare al prossimo tavolo di lavoro con Provincia e Regione con una propria proposta forte e chiara.
Da www.civonline.it
Da segnalare alcuni errori nell'articolo ma tutto sommato, ci si può stare.
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