sabato 5 gennaio 2013

Dante, Pietra d'Inciampo .......

Presso il Centro Studi Aurhelio ....

Da "Il Borghese", Novembre 2009, Recensione di Dante pietra d'inciampo PDF Stampa E-mail
ALESSANDRO SCALI
Dante pietra d’inciampo
Il Cinabro, 2009, pag. 271, €20


Per poter parlare di questo libro, occorre riportare alla luce il concetto vero di cultura, la quale non è erudizione e non vive nel mondo ideale della speculazione, ma è vita. Il senso profondo della cultura ci riporta all’immagine del contadino che coltiva la terra. È dunque tutto ciò che può servire per coltivare sé stessi e la propria anima, manifestando così uno dei sommi valori della Roma antica: la pietas verso se stessi; la responsabilità che si ha verso la propria perso na e questo senso di dovere verso di sé non può che condurre l'uomo in quel sentiero che Dante in primis ha descritto nelle sue opere: la conoscenza.
Conoscere è vivere, consegnare, tramandare, dunque la conoscenza è tradizione e non può dividersi da essa. Dante rappresenta il prototipo umano in cui si fondono l’azione ed il pensiero.
Non si può omettere il fatto che nella Divina Commedia nulla è lasciato al caso e quando Dante scrive dei quattro modi di intendere le scritture, è il poeta stesso a dare un chiaro incitamento, a chi legge, a scavare dietro le parole, per trovare ciò che più intimamente riguarda l’uomo in generale ed ognuno di noi; sì, perché la Divina Commedia parla ad ogni uomo che ne sappia decifrare il linguaggio ed indica a ciascuno, in relazione alle proprie capacità e predi-
sposizioni, la via per la realizzazione di sé.
Dante insegna in ogni pagina qualcosa di nuovo e più si riflette e si vive il suo messaggio più ci si rende conto di come il poeta abbia aperto un vero e proprio varco verso quella philosophia perennis che è fonte di ogni conoscenza particolare, patrimonio di quella ideale tradizione primordiale che permea e dà vita a tutte le singole tradizioni.
Malgrado questa intima grandezza spesso si assiste ad un uso elusivamente letterario o al massimo allegorico dei suoi testi; tutto ciò che ne deriva non può andare oltre il piano moralistico ed esteriore e tenere a distanza di sicurezza il lettore da quel senso superiore, quello anagogico, attraverso cui la lettura stessa porta ad una vera e propria edificazione ed innalzamento dello Spirito. In relazione a ciò non è un caso che l’ultimo grande santo della storia, Padre Pio da Pietralcina, abbia letto tutta di seguito la Divina commedia in circa 36 ore senza mai distogliersi dal soggetto: ovviamente senza mai mangiare, bere né riposarsi. Confidò alla fine: «la testa mi scoppiava, ma mi accorsi così che si trattava di un’opera colossale».
Ponendo sé stesso come soggetto Dante pone su un piatto d’argento la via per conoscere sé stessi. Egli, distribuendo peccati e peccatori in misura giusta tra ecclesiastici e laici, lancia un messaggio: scendete nel buio della vostra anima, passate oltre le piccolezze e riscopritevi angeli e santi, figli di Dio.
Egli richiama all’onestà, al coraggio, all’umiltà, alla tenacia, alla fede ed in definitiva, all’assunzione dello stato interiore del guerriero il quale non si risolve nel brutale scontro fisico ma coinvolge una visione del mondo, sintesi del continuo sforzo di perseguire la virtù attraverso l'obbedienza a ciò che si sente giusto, all'etica. L'invito di Dante è quello di indossare l'abito della virtù. Questo il messaggio universale dell'Alighieri che così facendo non solo assume il ruolo di Vate, Evangelista, Poeta e Guerriero ma si rivolge ad ogni singolo uomo rilegando le sue parole a quella dimensione eterna a cui l'uomo, pronto al sacrificio, può sempre attingere.
Quanto detto è magistralmente sintetizzato nel titolo dell’opera di Dante e riassumibile nelle parole di Guido De Giorgio, uomo che fece del suo pensiero uno stile di vita: «Non si può vivere per vivere - materialismo - né vivere per pensare - idealismo - né vivere per sentire - estetismo - né vivere per agire - meccanismo -: la vita ha un senso soltanto se essa è una commedia, una commedia sacra, se essa cioè, è calcata su un sistema rituale il cui riferimento s’innalzi sempre a una sfera superumana, e questa sfera è la Contemplazione, l’Unità Tradizionale, la Scienza Sacra».
Legato a ciò ancora il De Giorgio aiuta a dare un’idea circa l’importanza di Dante nel panorama culturale occidentale: «Con Dante s’è chiusa la primavera dell’Europa che con la Rinascenza, la Riforma, la Rivoluzione è precipitata in braccio alla demenza, all’atrocissima demenza dei vecchi bimbi in delirio. Dante è l’ultimo vate, l’ultimo poeta che ha cercato di integrare due mondi, di far combaciare due sfere, di redimere un’epoca di transizione e di preparazione in trasparenza di simbolo e in sostanzialità di vita».
Il testo del professore Scali mette in risalto alcuni aspetti fondamentali della formazione di Dante come l’influenza della cultura araba sull’autore.
In questi tempi in cui si sente spesso parlare di dialogo interreligioso, Dante è il chiaro esempio di come soltanto chi ha un bagaglio culturale alle spalle ed è sicuro della propria identità può avere un dialogo costruttivo con un’altra cultura; soltanto chi può offrire qualcosa di vissuto può dialogare perché il confronto porti ad una superiore sintesi che esalti i singoli aspetti presi da entrambe le parti per dar vita a qualcosa di simile ad una macedonia, in cui il sapore di ogni singolo frutto si distingue ed è esaltato dalla vicinanza con gli altri.
Al contrario, oggi si assiste ad un vero e proprio frullato di culture e tradizioni da cui non può nascere nulla di diverso da un gusto uniforme e piatto, il popolo di consumatori occidentali che affama i restanti 2/3 di mondo.
Nello specifico il prof. Scali, con una ricca documentazione denuncia l’ascendenza del sufi islamico Abu Bakr Muhammad ibn-al-Arabi del modello utilizzato dalla Commedia.
Nell’opera del maestro orientale, nato cent’anni prima del poeta fiorentino, «si narra il viaggio, sotto la guida di Gabriele, di due sufi, uno razionalista e l’altro mistico, nei tre regni oltremondani strutturati, in senso architettonico, su princìpi geometrici e, in senso gerarchico su princìpi morali e filosofico-religiosi, in forza dei quali un rigoroso contrappasso regola il rapporto peccato pena».
Se ciò non bastasse a convincere dell’esistenza del legame tra le due opere è sufficiente osservare l’aderenza dei due sistemi grafici di inferno, purgatorio e paradiso - riportati nel libro di Scali - per eliminare ogni dubbio.
Il testo passa poi in rassegna i legami di Dante con l’ordine templare e la sua dottrina dell’impero che ristabilisce i giusti rapporti con il papato - evidenziandone la comune discendenza divina - e ponendo in luce la funzione sacra che all’Impero compete in qualità di vicario di Cristo Re.
Ripercorrendo le tappe fondamentali della passione, parallelamente alla critica dei versi, il prof. Scali evidenzia quella legittimazione storica di Roma e dei suoi discendenti che nella commedia si riassume nelle parole di Beatrice quando afferma «…sarai meco sanza fine cive/ di quella Roma onde Cristo è romano».
Tutta l’opera è sostenuta da prove e dallo studio meticoloso dei versi danteschi e proprio questa serietà conferisce una validità che va ben oltre le singole analisi e che fa del libro un faro guida per lo studio della Divina Commedia alla luce della filosophia perennis.
Un viaggio affascinante nella dimensione dello spirito ed un manuale da cui apprendere il metodo giusto attraverso cui poter scoprire ciò che Dante ha ancora da sussurrare all’orecchio di ognuno di noi.
 
Alessandro Ricci

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