mercoledì 4 settembre 2013

Gerarchia o meritocrazia?


Incontriamo spesso in questa moderna ed avanzata nazione tra le potenze occidentali, molte persone insoddisfatte, che hanno subito ”ingiustizie”, pluripremiati che non hanno trovato il posto che gli s'addiceva, per i loro supposti meriti. ”Io sono un intellettuale e ho il diritto di parlare, in un modo o nell'altro, poiché sono stato premiato", è la replica-tipo che indica la psicologia di queste persone. Come? Un riconoscimento ti dà diritti? Essere bravo e meritevole una volta, ti autorizza a chiedere e di ricevere sempre? In realtà, è vero proprio il contrario. Chi si è dimostrato bravo una volta, si è qualificato per un nuovo compito, per una nuova responsabilità, per un nuovo dovere. E questo è tutto. Certo, è una morale aspra, questa del dovere senza fine da parte dei bravi e della ricompensa a quelli che non sempre sono stati bravi, ma questa è la morale tradizionale, la morale di qualsiasi comunità, spiritualmente sana. Ci può piacere o meno, ma essere bravo significa capire veramente che non si sarà mai abbastanza bravo, per iniziare a chiedere invece di continuare a dare. Questa è la differenza tra la meritocrazia del mondo moderno, liberal-democratico e la gerarchia, che etimologicamente significa governo del sacro. Il grado di sacrum facere, di sacrificio, indica la collocazione organica che compete ad ognuno. Alcuni obietteranno. Il fatto che non sempre siano esistiti in Italia dei criteri oggettivi che valorizzassero le persone è possibile. Ma anche laddove esistono dei criteri oggettivi, si vengono a compiere casualmente delle ingiustizie. Ad esempio per alcuni posti di lavoro vengono considerati solo coloro che hanno concluso la propria carriera accademica con il voto di 110 e lode. Significa questo che non vengono messi da parte molti di quelli bravi? Dunque non sono i criteri oggettivi che decidono la buona preparazione professionale e morale della società. Esistono anche altri criteri, in base ai quali non è la posizione alla quale sei arrivato che qualifica il tuo valore, bensì la tensione morale nella quale si vive.

Nico di Ferro

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