Il “luogo”, inteso come terra natale, riveste nella produzione letteraria del giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco particolare importanza. Gli influssi storico-culturali, le tradizioni, i riti religiosi e sociali della Sicilia caratterizzano i suoi scritti, nutrono la vena dell’ immaginazione, la sua antimodernità.
Il “luogo” travalica perciò il significato di mero dato geografico per diventare “topos” in senso letterario. E non solo.
Questo elemento condiziona lo stile dell’autore, lo rende fastoso, quasi barocco, simile alle fiorite e panciute balaustre di ferro battuto dei balconi siciliani. Il “luogo” emerge prepotente nel gusto dell’iperbole, nelle citazioni dotte, nella capacità dello scrittore di narrare in modo vivo, ideografico, la processione del Venerdì di Pasqua a Cordoba e nella sua Leonforte.
Del resto Buttafuoco si trova a suo agio tra Roma, Atene e Gerusalemme. La sua heimat è una patria ideale, elettiva, punto di partenza di un percorso in cui si stratificano ricordi, affanni e nostalgie comuni ai popoli dell’Europa meridionale. Buttafuoco insomma è un mediterraneo “doc”, dalla penna sanguigna e generosa. Sensibile alle ragioni dei vinti, perciò inattuale nell’accezione nobile di questo termine.
Lo si percepisce quando difende con passione le sue idee contro la “tirannia del tacere” che domina i media e la cultura italiani. Oppure quando sberleffa le contraddizioni della nostra società e l’ipocrisia di un Occidente che, incapace di comprendere il sacro, ha dichiarato guerra alla religione, relegandola nei salotti televisivi, riducendola a materia di competenza dei tribunali.
Autore e commentatore televisivo, nei panni dell’opinionista Buttafuoco collabora con vari periodici della carta stampata. E’ arguto, tagliente, sempre garbato, virtù questa divenuta – ahimè - rara ai giorni nostri, sacrificati alla volgarità e alla banalità. Nei suoi interventi è erudito, scoppiettante, talvolta irrefrenabile. Così come promette il suo cognome che, con un po’ di immaginazione, richiama alla mente i vulcani della sua isola o certi personaggi della Commedia dell’Arte, dai nomi dirompenti come Matamoros e Capitan Spaventa. Nomen est omen ....direbbe qualcuno.
Cominciano quindi questa conversazione, partendo proprio da lì dove “tutto ebbe inizio”, dall’assolata terra dello scrittore.
Dott. Buttafuoco, Lei è nato al centro della Sicilia, isola posta nel cuore del nostro Mediterraneo, mare interno e, a sua volta, congiunzione tra Africa e continente eurasiatico. Una posizione privilegiata per una terra che, nonostante la sua dimensione insulare, è stata nei secoli crocevia fondamentale delle civiltà. Come valuta questa eredità storica e culturale?
"Come una benedizione innanzitutto. E poi un privilegio, quindi un vantaggio. La Sicilia è il luogo dove tutto il mondo si dà appuntamento. Non è solo un crocevia, è anche la goccia dove tutte le culture portano la eco degli oceani. Prova ne sia che la corrente spirituale mediterranea solo in Sicilia ha saputo far trasmigrare il nitore del pensiero dell'origine fin dentro il sentimento popolare: da Iside al culto delle sante vergini Agata, Lucia e Rosalia, da Ashurà fino alle processioni della Settimana Santa dove è più chiara l'impronta islamica. Sono i musulmani, infatti, più ancora delle altre civiltà, ad aver dato un'impronta alla mia terra. Ho fatto di proposito l'esempio del Venerdì Santo perchè in quella notte il modo di pregare, la commozione e la profondità del dolore rimanda ad un sentimento che ci fu affinato dai nostri antenati saraceni".
L’emozione generata dai riti del Venerdì Santo a Cordoba e nella sua Leonforte, così come narrati nel suo libro “Cabaret Voltaire”, rammenta infatti al lettore musulmano le celebrazioni di Ashurà, per il martirio dell’Imam Husayn (as). Un pathos ed una sensibilità comune legano quindi la cattolica Europa mediterranea al mondo musulmano?
"Credo che il pathos derivi da un istinto, una ricerca del sacro che – a livello popolare – porta la gente a rivolgersi ai segni. I devoti di san Padre Pio sono molto più numerosi di quelli che si presentano ai casting del Grande Fratello ma gli spettatori di questo show sono in grado di avvelenare il sentire popolare. Quelle affinità tra l'antica origine islamica di Sicilia e il cattolicesimo mediterraneo, giusto quelle che nelle processioni della Settima Santa svegliano il ricordo di Ashurà, sono visibili solo agli occhi di chi studia i residui di quella memoria. I musulmani sono quelli che hanno insegnato non solo come preparare la cassata e la cotognata, ma quelli che hanno lasciato un'impronta sulla preghiera. Tutto ciò è chiaro per chi ha orecchie e occhi per intendere ma adesso tutto volge ad un indistinto catalogo folcloristico. Vorrei sottolineare il livello popolare perché malgrado l'aggressione culturale delle elite, nel sentire del popolo c'è un retaggio suggerito dal sangue. Certamente la secolarizzazione borghese ha allontanato i popoli del Mediterraneo dalla propria radice religiosa, sicuramente la forma politica della democrazia, al sacro, sigillo di un'istituzione organica, ha sostituito una generica adesione alla morale corrente, ma il popolo serba sempre una sorpresa: è permeabile ai disegni della Misericordia. Non è un caso che il grido ritmato di ogni ora profonda della Passione è tutto spiegato nella parola mi-se-ri-cor-dia".
Nostalgia del sacro, radici culturali e futuro della nostra Europa. Lei scrive che “il soldato di Pindaro è fratello al saraceno” e cita una frase di Goethe: “il destino d’Europa è l’Islam temperato dai pomeriggi di Grecia”.
"Quando sento parlare della radice cristiana d'Europa non riesco a trattenere il fastidio, specie perché quanti se ne proclamano alfieri della cristianità, hanno solo un'idea strumentale, per nulla saldata ad un riconoscimento sacrale. Detto questo: le uniche radici legittime dell'Europa sono quelle che rimandano alla duplice madre greco-latina e se il cattolicesimo ha dimenticato tutto ciò sposando adesso un destino di civilizzazione borghese (Dio ce ne scampi: i teo-con) grazie a Dio questa progenitura non l'ha smarrita la chiesa Ortodossa, né l'Islam sciita che ha saputo trovare nel pensiero dell'origine dei popoli quel lievito che vivifica la Rivelazione. Non è un caso che i teologi musulmani riconoscano in Platone, per fare un esempio, un precursore dell'avvicinamento a Dio. Ritengo che il soldato di Pindaro, infine, sia fratello al saraceno perché accanto alla teoretica, c'è un'etica dello stile. L'Islam che nei secoli ha di volta in volta incontrato i popoli - dagli arabi agli africani, dai persiani agli ottomani, dagli indiani all'intero continente euro-asiatico – adesso è pronto a diventare intimamente europeo, così come aveva vagheggiato Goethe. E a ciò si arriverà facendo svegliare a nuovo fulgore il tesoro che promana da Roma e da Atene".
Queste considerazioni sembrano aver ispirato il suo secondo romanzo: “l’Ultima del diavolo”. Un libro dal sapore faustiano, ricco di allegorie, con una trama originale e raffinatissima. E’ stato definito - forse in maniera frettolosa e impropria - un thriller teologico. Si tratta solo di questo?
“Decisamente frettolosa la definizione di thriller teologico per L'Ultima del Diavolo. Credo di aver adoperato, al contrario, uno schema senza suspence perché ciò che riguarda la teologia non determina un genere letterario, piuttosto la necessità del raccontare per come la tradizione ha stabilito. E per come i personaggi stessi del libro impongono alle pagine. Shaitan, poi, non è tema di horror, è una presenza che l'Occidente ha messo tra parentesi ma chi ha sensibilità religiosa sa bene quanto sia urgente svelarne le trame e con “l'Ultima del Diavolo” ho ripercorso una strada segnata da altri più autorevoli di me: da Bulgakov a Dante, magari anche il fumetto, ma certamente provando a fare quello che qualcuno, volendo fare una critica, ha involontariamente dato al mio libro un lusinghiero complimento: il primo romanzo musulmano in lingua italiana. Ho cercato, infatti, di scrivere il libro con gli occhi della sensibilità islamica.“
In effetti questo libro ha come fulcro eventi riguardanti l’origine dell’Islam: l’incontro del monaco Bahira col giovane Mohammad, l’unione della tradizione cristiana e musulmana nella figura dell’Imam Mahdi. Gesù e Mohammad visti come due raggi della stessa luce. Ma non solo, tra i personaggi del romanzo compaiono anche sufi, prelati cattolici e ortodossi e innumerevoli sono i richiami simbolici, storici, forse geopolitici. Per dirla col poeta Alighieri, anche lui citato nel libro, quali messaggi Buttafuoco nasconde “sotto ‘l velame de li versi strani”?
“Messaggi proprio no. A far la battuta io appartengo a quella scuola secondo la quale chi deve mandare messaggi scelga almeno la forma del telegramma: essenziale, tecnica e concisa comunicazione. Scherzi a parte: so di aver lavorato prendendo a prestito una materia alta, ovvero la Tradizione. E non nel senso del sincretismo laddove accomuno l'eredità del cattolicesimo popolare con l'Islam, piuttosto nel senso della Tradizione quale fonte unica: raggi della stessa luce appunto. Sono convinto del fatto che la Verità abbia un ovvio esercizio di dissimulazione incontro alle diverse epoche e ai destini dei popoli: ogni regno ha la propria religio. La vicenda dell'Occidente costretto all'oblio del Sacro (se non all'abiura del Sacro nella sua totalità), invece, ci tocca profondamente e solo una religione universale e vitale, erede della radice greco-romana qual è l'Islam, nella sua declinazione sciita, può caricarsi la responsabilità di tenere viva la speranza e proseguire il cammino della nostra stessa origine. Nell'Ultima del Diavolo metto in scena anche il percorso del Sikander (l'Iskander secondo la lingua araba, l'Alessandro Magno della nostra memoria) quando ravviva l'ara del padre Giove Ammone: dall'oasi in Libia fino a Elia Capitolina, ovvero Al Aqsa.“
Se le dittature governano limitando l’informazione ed esercitando la censura preventiva, i regimi democratici, paradossalmente, sembrano ottenere gli stessi risultati tramite l’eccesso di notizie. Una massa di comunicazioni, la cui attendibilità è difficile da verificare, ottiene lo scopo di (dis)orientare il cittadino. Il risultato sono campagne mediatiche il cui obbiettivo è, secondo le ideologie e i tempi, demonizzare il nemico di classe, lo straniero, il musulmano…..
“Tutto vero. La democrazia, secondo la definizione di un genio quale fu Carmelo Bene, è esclusivamente "condominiale". Non produce poetica, è burocratica e non determina epica. La democrazia fonda la propria ragione sociale sull'impostura. Si priva di legittimità non avendo a fondamento nulla di sacro. Ovviamente non possiamo dirlo in pubblico perché la dittatura del luogo comune impone totale accettazione della trimurti demoniaca per eccellenza: libertà, uguaglianza e fratellanza. Ufficialmente si deve essere democratici. E la unica teologia ammessa in Occidente è quella secondo cui non si può prescindere dalla democrazia. Dall'altro lato ci sono le dittature. Oppure i ridicoli governi di satrapia tipo la Lega Araba, quelli che durante il massacro di Gaza non riuscirono neppure per un minuto a decidere di smettere di vendere petrolio all'Occidente, giusto per ricordare qual è la vera fratellanza. Insomma: non è di questo mondo la Repubblica di Platone.“
Abbiamo titolato la nostra rubrica “Al-Qantara”, parola araba che significa “Il Ponte”. Riteniamo infatti che gli uomini abbiano bisogno di costruire “ponti” verso il sacro e le altre culture, piuttosto che preparare nuove crociate. Purtroppo, parte dei media e della politica, promuovono intolleranza e disinformazione sulle vicende riguardanti le etnie e le religioni presenti nel nostro paese. Ci allontaniamo dalla pacifica convivenza tra le genti, tipica dei paesi mediterranei, per vivere anche in Italia un clima di conflitti ed emarginazioni come nel Nord Europa? Siamo in grado di evitare la trappola dello “scontro di civiltà”?
“Al punto in cui siamo arrivati trovo difficile sfuggire alla trappola. Siamo già dentro la buca dello scontro. Il livello di scontro ha già superato le fasi preparatorie della disinformazione e della propaganda. Sono convinto che la crisi avrà un crescendo a causa della facile infezione che l'odio procura all'una e all'altra parte in gioco. Se da un lato non si può imporre con la forza la religione, dall'altro non si può pensare di forgiare l'individuo secondo i dogmi della superstizione laica. E l'Occidente che ha fatto della rimozione del Sacro il proprio status psicologico e culturale sta portando alle estreme conseguenze quell'idea secondo la quale chiunque non corrisponda ai canoni della liberal-democrazia laica non è nemmeno considerato un nemico, piuttosto un imputato.“
a cura di Hamza Biondo - 01/02/2010