In questi giorni in cui la Chiesa cattolica fa notizia solo per le sue guerre interne di potere, per l’attaccamento spasmodico ai suoi privilegi, per i loschi affari condotti con i peggiori faccendieri, per le bugie e per le renitenze su ca...si giudiziari che la vedono stranamente coinvolta, si staglia immensamente al di sopra di tali bassure la figura di don Ivan Martini, il parroco di Rovereto (MO), morto nella sua chiesa di S. Caterina, colpito da una trave crollata durante l’ultimo terremoto. Don Ivan è morto per salvare una statua della Madonna particolarmente cara ai suoi parrocchiani. Forse molti non saranno d’accordo, ma questa morte è per me più “santa” di una morte avvenuta per salvare un altro essere umano. Salvare un uomo in pericolo (ancor più se un vecchio una donna un bambino) , è nell’istinto di ogni essere umano non totalmente abbrutito, ma rischiare la vita per un simbolo non è più cosa né degli uomini né dei preti (tanto più che di uomini veri tra loro non ce ne è quasi più) di oggi (io lo vedo un don Gallo che salva un bambino e poi fa piangere Fabio Fazio di commozione, ma non lo vedo che s’affanna neppure per salvare il calice delle ostie consacrate). E don Ivan non è neanche morto per una Madonna che fosse un’opera d’arte (ricordo la mia insegnante di lettere del biennio del liceo, la quale ci diceva che un uomo aveva il dovere di sacrificare la sua vita per salvare una Gioconda o un David), ma per una semplice immagine di parrocchia paesana, carica però della fede, delle preghiere, delle attese dei suoi fedeli. Don Ivan è morto come quei soldati che non vogliono far cadere la bandiera in mano al nemico (il terremoto, in questo caso). E una bandiera cos’è, se non un un’idea materializzata e consacrata da una credenza? Quanti italiani sono disposti a morire per una bandiera nel Paese di capitan Schettino? Don Ivan lo ha fatto, e forse questa volta è il caso veramente di gridare: “SANTO SUBITO!”.
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