« Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo, il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo. » (John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re)
mercoledì 28 settembre 2011
Arianità della dottrina del risveglio
mercoledì 24 agosto 2011
Harlock Lucania 2011 > Quota30
Ce l'abbiamo messa tutta e siamo arrivati vicino ad un obiettivo che quest'anno per via della crisi e del cambiamento di metodo poteva risultare inarrivabile. Invece ce l'abbiamo fatta grazie al contributo di molti e soprattutto grazie a quel metodo abbiamo riconosciuto amici e menefreghisti. Per i più, una occasione per ritrovarci insieme e sostenere le azioni virtuose, per gli altri una ennesima occasione persa. Chi dà a chi è in difficoltà, a chi ha bisogno, alle azioni di salvaguardia delle comunità virtuose, coltiva il proprio essere. Chi pensa di potercela fare da solo, si rallegrerà del proprio isolato individualismo affastellandosi in un velleitarismo politico che non da frutti ormai da decenni. Non venga a blaterare di valori e di scenari alla "volemose bene". Il dado è tratto. I ragazzi di Harlock hanno gioito. Questo è un dato. Grazie di Cuore.
Centro Studi Aurhelio
lunedì 1 agosto 2011
Harlock Lucania 2011 > Quota30
Anche quest’anno il Centro Studi Aurhelio, a sostegno della Casa Famiglia Harlock, decide di ripetere il progetto Quota 30 che lo scorso anno ha riscosso partecipazione e successo. L’iniziativa consiste nel trovare, minimo, 30 sottoscrittori per una quota di 10 euro cadauna, il cui totale garantirà ai ragazzi una serena permanenza in terra lucana. Durante la settimana raccoglieremo i fondi e ci vedremo per un aperitivo solidale Sabato 6 Agosto alle 12 a Santa Marinella, presso il Bar dei Portici sulla Via Aurelia, come termine ultimo.
Harlock è una struttura, in provincia di Viterbo, che ospita ragazzi che necessitano di un collocamento alternativo alla famiglia, almeno in una fase della loro vita. Si tratta di Minori che rientrano in progetti alternativi alla detenzione carceraria, minori vittime di abusi e minori che hanno ottenuto l’asilo per la precaria e pericolosa situazione nei loro paesi di origine o minori stranieri non accompagnati. L’equipe si occupa dell’analisi e soluzione delle loro più elementari necessità oltre a quelle più complesse, come il disagio psicologico, reperimento documenti e avviamento al lavoro. I ragazzi frequentano regolarmente la scuola, studiano, praticano sport e, visto che se lo sono meritati, si vuole mandarli circa un mese in vacanza. Tale volontà purtroppo può rimanere tale, vista la mancanza di fondi. Il Centro Studi Aurhelio, rinnova la sua azione di sostegno per le realtà virtuose e promuove anche quest’anno il progetto Harlock Lucania 2011>Quota30. L’iniziativa consiste nel trovare, minimo, 30 sottoscrittori per una quota di 10 euro cadauna, il cui totale garantirà ai ragazzi una serena permanenza in terra lucana. Naturalmente il progetto si avvale anche del sostegno di alcune realtà locali e di realtà associative di Tramutola – PZ. Per ognuno di noi sarà un piccolo sforzo, ma il risultato potrà essere grande.
Trasmettere l’idea che si ottengono i frutti solo con l’impegno ed il sacrificio.
Centro Studi Aurhelio, idee che diventano azioni.
Contatti, sostegno, info: cst.aurhelio@gmail.com
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Operazione atterraggio Arcadia in Lucania
Questo anno la ciurma e i pirati della casafamiglia “Harlock”, caleranno sul paese di Tramutola (Pz) per giocare un torneo di calcetto, andare in piscina, fare gite al fiume ed in montagna e chi più ne idèa, più ne realizza. I ragazzi saranno accolti insieme agli educatori in una struttura messa a disposizione dalla Protezione Civile e con annessa cucina e servizi. Abbiamo dei basisti sul territorio: l’Associazione politico-culturale “Tramutola viva”. Con i nostri ragazzi sarà ancora più viva, forse troppo. Sarebbe bello poter avere una divisa calcistica dedicata all’evento, magliette ed un po’ di vil pecunia per pizzate, spesa e via attivandosi.
Siate arrembanti nel supportarci. Piratescamente grazie. I Ragazzi e l’Equipe
Casa Famiglia HARLOCK
01016 Tarquinia (VT) - Alberata Dante Alighieri 29
Tel/Fax 0766855179 - casafamiglia.harlock@gmail.com
lunedì 9 maggio 2011
Cittadella - Saint Exupèry
Così alla sera io cammino a passi lenti tra il mio popolo e tacitamente lo circondo del mio amore. Sono soltanto inquieto per coloro che ardono di una vana luce, per il poeta pieno d’amore per la poesia ma che non scrive il suo poema, per la donna innamorata dell’amore ma che, non sapendo scegliere, non può divenire; tutti pieni di angoscia, poiché sanno che io li potrei guarire di questa angoscia se permettessi loro di fare quell’offerta che esige sacrificio, scelta e dimenticanza dell’universo. Perché il tal fiore esclude innanzi tutto ogni altro fiore. E tuttavia solo a questa condizione esso è bello. Così avviene per l’oggetto dello scambio. E lo stolto che va a rimproverare a quella vecchia il suo ricamo col pretesto che avrebbe potuto tessere qualcos’altro, preferisce dunque il nulla alla creazione. Così cammino e sento salire la preghiera nell’odore dell’accampamento nel quale tutto matura e si forma in silenzio, lentamente, senza quasi che ci si pensi. Il frutto, il ricamo o il fiore, per divenire, è nel tempo che sono immersi.
Durante le mie lunghe passeggiate ho capito che il valore della civiltà del mio impero non riposa sulla qualità dei cibi ma sulla qualità delle esigenze e sul fervore del lavoro. Questo valore non è dato dal possesso, ma dal dono di sé. E’ civilizzato innanzi tutto quell’artigiano che si ricrea nell’oggetto; in compenso egli diviene eterno, in quanto non teme più di morire. Ma quest’altro che si circonda di oggetti di lusso comperati dai mercanti, non ne trae alcun vantaggio se non ha creato nulla, anche se nutre il suo sguardo di cose perfette. Conosco quelle razze imbastardite che non scrivono più i loro poemi ma li leggono, che non coltivano più la loro terra ma si fondano anzitutto sugli schiavi. Contro di loro le sabbie del Sud preparano incessantemente nella loro miseria creatrice le tribù vive che saliranno alla conquista delle loro provviste morte. Non amo chi è sedentario nel cuore. Quelli che non offrono nulla non divengono nulla. La vita non servirà a maturarli, e il tempo per loro fluisce come una manciata di sabbia disperdendoli. Che cosa offrirò a Dio in loro nome?
Da Cittadella di A. de Saint-Exupérygiovedì 20 gennaio 2011
Riflessioni su Risorgimento ed Unità d'Italia
«ALL’ITALIA DI OGGI SERVONO ÉLITES
PORTATRICI DI UNA CULTURA UNITARIA»
Intervista al prof. Sandro Consolato
ROMA - Nel Risorgimento italiano le idee federaliste non mancano. Molti pensatori vedono proprio in questo modello organizzativo lo sbocco del processo unitario nazionale. In ambito moderato, ad esempio, ben prima del 1861 si progetta una Italia federale, come somma degli Stati esistenti, guidata da una figura carismatica e super partes (il pontefice). A sostenere questa linea è, principalmente, Vincenzo Gioberti, secondo il quale il Risorgimento non consiste nella creazione di una civiltà nuova, bensì nel riannodarsi del filo della storia nazionale. Una reinterpretazione del presente, insomma, fondata sui valori specifici e le qualità indiscutibili del “genio” italico (pelasgico, dorico, romano, ma anche, più modernamente, cattolico). Queste riflessioni sono la base di partenza per un colloquio più ampio sul centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, con il prof. Sandro Consolato. Nato a Bagnara Calabra nel 1959 è laureato in Filosofia a Messina, dove risiede e insegna Italiano, Latino e Storia nei Licei. Consolato è uno studioso di storia delle religioni e dei rapporti tra politica, religione ed esoterismo. Ha pubblicato il saggio “Julius Evola e il Buddhismo” (SeaR, Borzano RE, 1995) ed ha collaborato alle riviste “Arthos” e “Politica Romana”. Cura dal 2001 per la casa editrice romana “I libri del Graal” la rivista di studi storici e tradizionali “La Cittadella”. È già intervenuto nel dibattito sui centocinquant’anni dell’Unità con un ampio articolo apparso sul quotidiano “Il Foglio”, anticipazione del suo libro “Dell’elmo di Scipio. Risorgimento, storia d’Italia e memoria di Roma”, la cui uscita è prevista per il 2011.
Entriamo subito nel vivo dell’argomento. Il Risorgimento fu davvero la resurrezione del mito di Roma per la nazione italiana o, come ormai si contesta da più parti, può definirsi un semplice processo di espansione del Regno di Sardegna?
«Il Risorgimento propriamente detto è un fenomeno storico che occupa un tempo abbastanza lungo, dalla fine del ‘700 fino al 1870, e di cui l’estrema appendice è la Grande Guerra, nella misura in cui poté apparire come la IV guerra di indipendenza. In questo arco di tempo ci stanno dentro molte cose, uomini e idee tra loro anche molto diversi, ma il dato fondamentale di ciò che chiamiamo Risorgimento è l’aspirazione, inizialmente coltivata da delle minoranze intellettuali e poi da strati sempre più vasti della popolazione di tutta l’Italia, all’unità e all’indipendenza nazionali. Il mito di Roma (nel senso di Roma antica) non fu, nel processo risorgimentale, sempre presente o gradito a tutti coloro che volevano l’unità. Esso fu proprio soprattutto alla sinistra risorgimentale e ricevette un grande impulso dall’esperienza della Repubblica Romana del 1849. Il mito di Roma è presente in un veneziano come Foscolo e in un lucano come Lomonaco in età napoleonica, in Mazzini, in Garibaldi, in Amari, in Crispi e anche in un Quintino Sella più tardi. Silvio Spaventa, esponente meridionale della Destra storica, giustificava il suo progetto di nazionalizzazione delle ferrovie, osteggiato dai moderati toscani, con il fatto che a Roma le strade erano dello Stato... Comunque sia, fu sentimento comune di tutti i patrioti, anche dei moderati, non troppo inclini al mito alfieriano e mazziniano della Terza Roma, che l’Italia avesse dei diritti storici all’unità e all’indipendenza dati dal suo grande passato, e la massima grandezza era stata indubitabilmente quella di Roma antica. Che l’inno di Mameli evochi la Roma degli Scipioni, le coorti eccetera, è un fatto che mi sembra già significativo. Quanto a chi ritiene il Risorgimento “un semplice processo di espansione del Regno di Sardegna”, può avere ragione solo se bada a quelli che furono i sentimenti di una parte del mondo sabaudo (in particolare di quello militare). La realtà è diversa. Si possono riconoscere degli squilibri tra le regioni d’Italia dopo l’unificazione, ma vederli tutti come effetto della cosiddetta “conquista regia” è sbagliato: tra l’altro il cuore del Regno di Sardegna, il Piemonte, di fatto nel Regno d’Italia non mantenne un ruolo veramente egemonico, come è stato invece il caso dell’Inghilterra nella creazione della Gran Bretagna. L’Italia arriva al cinquantenario del Regno, nel 1911, complessivamente cresciuta, e ha un peso politico, militare, economico che prima, spezzettata, non aveva, che nessuno stato regionale aveva».
Ma allora quali questioni ci pone, oggi, l’unità d’Italia. Questo Paese può dirsi, oggi, davvero unito?
«Il problema dell’Italia non è l’unità. Il problema è la cattiva politica, la diffusa corruzione, la criminalità organizzata e il suo intreccio tentacolare con il mondo economico e politico. È un grave errore dire, tanto a Nord come a Sud, che tutti i nostri mali derivano dall’unificazione nazionale. Sarebbe più corretto dire, con particolare riferimento al Sud, che l’Unità non sanò tutta una serie di problemi che c’erano già prima: la forte corruzione in campo amministrativo, ad esempio.
Non crede che le attuali spinte secessioniste, sempre più forti, del Nord pongano di nuovo, clamorosamente dopo centocinquant’anni, il problema della possibile perdita dell’indipendenza politica dell’Italia sullo scacchiere europeo?
«Sì, io temo che la secessione possa essere una prospettiva reale. In Europa si è dimostrato che si può secedere anche senza violenza, come nel caso della Cecoslovacchia e come potrebbe accadere in Belgio. Al Nord certuni pensano che, liberatisi dal Sud, una repubblica settentrionale sarebbe un grande paese, in grado di contare di più. In realtà la repubblica del Nord finirebbe per entrare nell’orbita dell’egemonia tedesca, probabilmente. E vi è chi, tra i leghisti, guarda apertamente con favore a tale prospettiva. Tutti hanno potuto vedere certi servizi televisivi in cui militanti leghisti si dichiaravano idealmente sudditi degli Asburgo e così via».
Le speranze suscitate dall’Illuminismo e i valori della Rivoluzione francese furono alla base dello Stato unitario intrecciandosi con i richiami alla tradizione, alla Roma degli antichi padri. Quale può essere, invece, il nostro orizzonte futuro? Quali ideali di riferimento possono, a suo avviso, rilanciare quello spirito unitario?
«La rivoluzione francese, o meglio, la successiva invasione francese dell’Italia, portò un grande scossone politico-militare nella Penisola, uno scossone senza il quale forse l’unità sarebbe stata raggiunta molto più tardi, e probabilmente in forma diversa. Ma l’idea unitaria non è l’effetto dell’influenza francese: essa nelle élites italiane è una vocazione presente da molto tempo, e con una forte relazione con la cultura letteraria di tali élites, che è una cultura unitaria. Un positivo orizzonte futuro si potrà delineare se in Italia torneranno ad esserci delle élites portatrici di una cultura unitaria capaci di divulgare e rendere popolari certe idee, e di connettere tali idee, il che è compito della politica, ad una rinascita dello Stato e delle virtù civiche, ad un rilancio dell’economia nazionale e, soprattutto, ad una vera e propria rivoluzione nel Meridione».
Concentriamoci sul Sud. Una più attenta storiografia ha rivelato come, ad esempio e per taluni aspetti, il brigantaggio sia stato una forma di guerra civile nata nel nostro Mezzogiorno dopo l’annessione al Regno d’Italia. Nell’attuale gap tra Nord e Sud, caratterizzato dalla forte emergenza criminale del nostro Mezzogiorno, ci portiamo ancora dietro i segni di quelle vicende a suo avviso?
«Che il cosiddetto “brigantaggio” sia stato una forma di guerra civile non è una novità, da un punto di vista storiografico. Il fatto è che questo tema sta piuttosto diventando una moda, correlata all’attuale crisi del sentimento nazionale. Comunque, la divaricazione tra Nord e Sud a mio avviso oggi non va letta andando indietro al 1860. Oggi questa divaricazione sta aumentando rispetto a solo vent’anni fa, poiché l’attenzione verso il Meridione non è aumentata ma è diminuita. Il problema fondamentale del Sud sono le sue classi dirigenti, le quali hanno tutelato solo i propri privilegi e creato consenso solo attraverso il clientelismo e lo sperpero del denaro pubblico, prima nazionale e ora anche europeo. Le classi dirigenti hanno anche guastato ciò che vi era di sano nel popolo meridionale, che non era affatto un popolo di fannulloni, visto che per lo più era formato da contadini che lavoravano sodo dalla mattina alla sera. Quanto alla criminalità, va detto chiaramente che va distinta dal fenomeno del brigantaggio postunitario. Se si guarda bene, questo interessò delle aree che non sono quelle storiche della ‘ndrangheta e della camorra: la Basilicata, ad esempio. Gli avvenimenti tristi di allora possono aver lasciato dei segni negativi nella popolazione, quali quelli del sentire lo Stato come qualcosa di estraneo quando non nemico».
Una certa interpretazione storica sostiene che nel Risorgimento italiano sia stata assai limitata la partecipazione della masse popolari del Sud, soprattutto contadine, agli eventi che hanno caratterizzato l’unità nazionale e che il Risorgimento stesso possa essere considerato, in effetti, una sorta di rivoluzione mancata per il nostro Mezzogiorno. Che pensa a tale proposito?
«Le masse popolari in tutta Italia, a quell’epoca, erano costituite sostanzialmente dai contadini. E da questo punto di vista, l’estraneità al processo risorgimentale riguarda tanto i contadini del Veneto quanto quelli del Sud. I contadini erano molto legati alla Chiesa, e il loro massimo di partecipazione, nel ’48 nel Lombardo-Veneto ad esempio, si ha quando anche il clero prende posizione anti-austriaca. Al Sud pure vediamo una parte del clero con sentimenti antiborbonici, e questo spiega come vi siano preti, monaci e suore che salutano favorevolmente Garibaldi nel 1860. Allo stesso tempo nel mondo contadino ci si aspetta anche, da Garibaldi, un miglioramento sociale ed economico, che di fatto per i contadini non ci fu. Quello che però bisogna evidenziare, parlando del Risorgimento e del Meridione, è che non è affatto vero che il Sud fu estraneo al processo risorgimentale, che lo subì come una iniziativa voluta e venuta dal Nord. Come emerge anche in un film come “Noi credevamo” (di cui qui non voglio evidenziare i limiti e gli errori da un punto di vista storico), il Sud fu parte attivissima dei moti indipendentistici, ed espresse delle élites, sia nell’aristocrazia che nella borghesia (anche quella piccola, artigiana) che sacrificarono vita, privilegi e beni nella lotta antiborbonica, e questo non va assolutamente dimenticato. Vorrei anche sottolineare che un uomo come Crispi, figura importante della sinistra risorgimentale meridionale, è vero che attua la repressione dei fasci siciliani, ma immediatamente vara un suo proprio progetto di legge agraria per la Sicilia che era il più avanzato che fosse mai stato proposto, volto alla creazione di un vasto ceto di piccoli proprietari terrieri, e questa volta non più sottraendo terre ai demani o alla manomorta ecclesiastica ma al latifondo privato. Tale progetto purtroppo fallì, insieme al resto della sua politica, con la sua caduta, voluta da un grande fronte che andava dai latifondisti siciliani legati al marchese di Rudinì ai gruppi industriali del Nord ostili alla politica coloniale e meridionalistica del presidente del Consiglio, gruppi straordinariamente in sintonia con la sinistra socialista settentrionale».
Per chiudere, con quali auspici e speranze, a suo avviso, ci accingiamo a festeggiare questi centocinquant’anni di storia unitaria del nostro Paese?
«Noi dobbiamo festeggiare i centocinquant’anni dello Stato unitario non per dirci che tutto è andato magnificamente ieri e procede benissimo oggi, ma per sottolineare che a quel risultato, che trova pieno compimento solo con la liberazione di Trento e Trieste nel 1918, si è giunti grazie ad una aspirazione di secoli delle menti più alte di tutta l’Italia e con il sacrificio di tanti uomini e non poche donne che hanno creduto in una Italia unita che fosse anche una Italia grande e migliore. I centocinquant’anni devono servire, più che a una celebrazione, ad un esame di coscienza della nazione, a ritrovare le ragioni, le nuove oltre che le vecchie, per cui è comunque meglio che l’Italia sia unita (con o senza federalismo) piuttosto che divisa. Oggi, poi, guardare al Risorgimento può anche dare un salutare modello al mondo politico: in poche altre occasioni i diversi “partiti” politici (e nel Risorgimento ve ne erano diversi anche entro i due grandi schieramenti dei liberal-moderati e dei democratici) hanno saputo anteporre uno scopo grande ed unico (allora l’indipendenza e l’unità nazionali) ai propri progetti di organizzazione dello Stato, dell’economia e della società (anche se bisogna riconoscere che personalità come Mazzini dovettero registrare amarissime delusioni dal raggiungimento di quello che consideravano il fine prioritario, una volta che questo si realizzò nelle forme politiche e socio-economiche volute essenzialmente da Cavour)».
Francesco Pungitore
da www.ildomani.it (che gentilmente ringraziamo) di lunedì 27 dicembre 2010
lunedì 20 dicembre 2010
Aspettando una rinascita - il Solstizio d’inverno
Innanzitutto è a nostro avviso necessario partire da ancora più lontano: ossia dal fatto che, con il progressivo allontanamento dell’uomo dalla natura, stiamo diventando sempre più insensibili al suo ciclo e alle sue molteplici manifestazioni. La stragrande maggioranza delle persone, oggigiorno, vive il susseguirsi delle varie stagioni esclusivamente per il fatto che si accorge del cambiamento di temperatura e, qualora sia ancora abituata a farlo, osservando nella natura dei cambiamenti evidenti.
Ma quale nesso si pone dunque in essere tra il mondo naturale con la sua ciclicità e una festa apparentemente legata al costume popolare e alla religione?
Ebbene l’aspetto più rilevante, e tutt’altro che casuale, del Natale è che esso si festeggia in prossimità di un altro avvenimento molto importante, ossia quello del solstizio d’inverno, che cade il 21 dicembre. Il solstizio d’inverno è un avvenimento di particolare rilevanza perché è il giorno più corto dell’anno, durante il quale la Terra si trova nel punto più lontano dal sole nel suo ciclico girare attorno ad esso.
Per tutti i popoli antichi, questo periodo dell’anno riveste un fondamentale aspetto simbolico, di carattere esoterico. Infatti, a partire dal giorno seguente il solstizio, le giornate ricominciano impercettibilmente ad allungarsi, simboleggiando la vittoria del sole sulle tenebre e il ritorno di un periodo di luce, che troverà il suo apice nel solstizio d’estate, giorno più lungo dell’anno.
Durante la notte più lunga dell’anno dunque, dove la luce pare abbia lasciato definitivamente spazio alle tenebre, ecco che anticamente si accendevano dei fuochi per propiziare questa vittoria e rinascita. Tale avvenimento però, non era vissuto esclusivamente come di carattere esteriore, bensì era un momento durante il quale fermarsi a riflettere su di noi e sul nostro agire, facendo della sincera critica introspettiva, seguita poi dalla celebrazione di questa rinascita di luce anche in noi stessi.
La vittoria della luce sulle tenebre sancisce pertanto un ritrovato (e rinnovato) stato dell’essere, che dopo aver affrontato e lasciatosi alle spalle gli aspetti più bui che in esso albergavano, è pronto a rimettersi in cammino verso un mondo luminoso con rinfrancata freschezza.
Con queste poche righe speriamo di aver contribuito in minima parte a tenere vivo il senso e il significato di quello che è forse il momento più significativo dell’anno, con l’augurio che questa consapevolezza cresca e scalzi il materialismo ormai insito ad esso e con la certezza che un uomo che vuole considerare se stesso in sintonia con la natura non può non riconoscerlo.
Un buon solstizio a tutti!
www.azionetradizionale.com
mercoledì 8 dicembre 2010
La grande parodia o la spiritualità alla rovescia
Questa “spiritualità alla rovescia”, per la verità, è dunque solo una falsa spiritualità, falsa all’estremo limite del concepibile; ma si può anche parlare di falsa spiritualità tutte le volte che, per esempio, lo psichico viene scambiato per lo spirituale, anche senza andare necessariamente fino a questa sovversione totale; perciò l’espressione “spiritualità alla rovescia” è quella che meglio serve a definirla, a condizione naturalmente di spiegare con precisione in che modo va intesa. Ecco cos’è in realtà il “rinnovamento spirituale” di cui taluni, talvolta molto inconsapevolmente, annunciano con insistenza il prossimo avvento, o anche la “nuova èra” in cui si tenta con tutti i mezzi di introdurre l’umanità attuale (1), e che la condizione d’ “attesa” generale, creata mediante la diffusione delle predizioni di cui abbiamo parlato, può contribuire effettivamente ad affrettare.
L’attrazione per il “fenomeno”, già da noi segnalata come uno dei fattori determinanti la confusione tra psichico e spirituale, può ugualmente svolgere a questo proposito una funzione molto importante, poiché è per tramite suo che la maggior parte degli uomini verranno conquistati e ingannati al tempo della “contro-tradizione”, in quanto è detto che i “falsi profeti” che sorgeranno allora “faranno grandi prodigi e cose stupefacenti fino a sedurre, se fosse possibile, gli stessi eletti” (2). E’ soprattutto sotto questo rapporto che le manifestazioni della “metapsichica” e delle diverse forme di “neospiritualismo” possono apparire già come una specie di “prefigurazione” di quanto dovrà verificarsi in seguito, benché ne diano solo una pallida idea; in fondo saranno sempre in gioco le stesse forze sottili inferiori, ma che a quel momento verranno messe in azione con una potenza incomparabilmente maggiore; e quando si vede come la gente sia sempre disposta ad accordare ad occhi chiusi la più completa fiducia a tutte le divagazioni di un semplice “medium”, soltanto perché convalidate da “fenomeni”, come stupirsi se la seduzione dovrà essere pressoché generale? E’ per questa ragione che non si ripeterà mai abbastanza come i “fenomeni”, in sé stessi, non provino assolutamente niente quanto alla verità di una dottrina o d’un qualsiasi insegnamento, e come sia proprio questo il campo per eccellenza della “grande illusione”, ove tutto ciò che appare a certa gente come segno di “spiritualità” può essere sempre simulato e contraffatto dal gioco delle forze inferiori in questione; questo è anche forse il solo caso in cui l’imitazione possa essere veramente perfetta, perché sono esattamente gli stessi “fenomeni”, intesi nel loro significato specifico di apparenze esteriori, che si producono in entrambi i casi: la differenza risiede esclusivamente nella natura delle cause che rispettivamente intervengono in essi; e poiché la gran maggioranza degli uomini è necessariamente incapace di determinare queste cause, la miglior cosa da farsi è in definitiva di non attribuire la benché minima importanza a tutto ciò che è “fenomeno”, anzi di vedervi piuttosto a priori un segno sfavorevole; ma come farlo capire alla mentalità “sperimentale” dei nostri contemporanei, mentalità la quale, dopo esser stata manipolata dal punto di vista “scientistico” dell’ “antitradizione”, diventa finalmente uno dei fattori che possono contribuire nel modo più efficace al successo della “contro-tradizione”?
Il “neospiritualismo”, e la “pseudo-iniziazione” che ne deriva sono una parziale “prefigurazione” della “contro-tradizione” anche da un altro punto di vista: intendiamo riferirci alla già segnalata utilizzazione di elementi autenticamente tradizionali in origine, ma deviati dal loro vero significato e posti in certo qual modo al servizio dell’errore: questa deviazione è in definitiva l’incamminarsi verso il capovolgimento completo che dovrà caratterizzare la “contro-tradizione” (e di cui del resto abbiamo visto un esempio significativo nel rovesciamento intenzionale dei simboli), anche se nella contro-tradizione non sarà soltanto questione di elementi frammentari e dispersi; nell’intenzione dei suoi autori infatti, essa dovrà dare l’illusione di qualcosa di simile o addirittura di equivalente a ciò che costituisce l’integralità di una tradizione vera, con tutte le applicazioni che le sono proprie nei vari campi. E’ da notare, a questo proposito, come la “contro-iniziazione”, pur inventando e diffondendo per i suoi fini tutte le idee moderne caratteristiche dell’ “antitradizione” negativa, sia perfettamente cosciente della falsità di tali idee, e sappia evidentemente anche troppo bene a cosa attenersi; ma ciò sta appunto ad indicare come, nella sua intenzione, questa sia soltanto una fase transitoria e preliminare, in quanto una simile organizzazione di menzogna cosciente non può come tale essere il vero ed unico scopo che essa si propone; tutto ciò è destinato solo a preparare la successiva venuta di qualcos’altro, che a sua volta dovrà apparire come un risultato più “positivo”, e che sarà precisamente la “contro-tradizione”. E’ per questa ragione che, in particolare nelle diverse produzioni di cui è indubbia l’origine o l’ispirazione “contro-iniziatica”, si vede già delinearsi l’idea di un’organizzazione che sarebbe come la contropartita, e appunto perciò la contraffazione, d’una concezione tradizionale come quella del “Sacro Impero”, organizzazione che dovrà essere l’espressione della “contro-tradizione” nell’ordine sociale; ed è anche per questa ragione che l’Anticristo, secondo la terminologia della tradizione indù, potrà esser denominato Chakravartî alla rovescia (3).
Il regno della “contro-tradizione”, in effetti, è, molto esattamente, ciò che è designato come il “regno dell’Anticristo”: questi, qualunque idea si possa averne, è comunque colui che concentrerà e sintetizzerà in sé stesso, in vista di tale opera finale, tute le potenze della “contro-iniziazione”, sia che lo si percepisca come un individuo, sia come una collettività; in un certo senso potrebbe essere ad un tempo l’uno e l’altra, in quanto dovrà esistere una collettività che rappresenti l’”esteriorizzazione” della organizzazione “contro-iniziatica” vera e propria venuta finalmente alla luce del giorno, e dovrà esistere altresì un personaggio, posto a capo di quella collettività, che sia l’espressione più completa e come l’“incarnazione” stessa di quel che essa rappresenterà, non foss’altro che a titolo di “supporto” di tutte quelle influenze malefiche le quali, dopo essersi concentrate in lui, dovranno da lui essere proiettate nel mondo (4). Evidentemente sarà un “impostore” ( significato del termine daggiâl con cui viene abitualmente denominato in arabo), poiché il suo regno non sarà nient’altro che la “grande parodia” per eccellenza, l’imitazione caricaturale e “satanica” di tutto ciò che è veramente tradizionale e spirituale; e tuttavia la sua costituzione sarà tale, se così si può dire, da essergli veramente impossibile non svolgere tale funzione. Certamente non sarà più il “regno della quantità” che era soltanto il culmine della “antitradizione”; al contrario, col pretesto di una falsa “restaurazione spirituale”, sarà una specie di reintroduzione della qualità in tutte le cose, ma di una qualità presa a rovescio del suo valore legittimo e normale (5). Dopo l’ “egualitarismo” dei nostri giorni ci sarà di nuovo una gerarchia invertita, ossia una “contro-gerarchia”, il cui vertice sarà occupato dall’essere che, in realtà, sarà più vicino di chiunque altro a toccare il fondo degli “abissi infernali”.
Quest’essere, anche se apparirà sotto forma di un personaggio determinato, sarà in realtà più un simbolo che un individuo, sarà cioè come la sintesi stessa di tutto il simbolismo invertito in uso presso la “contro-iniziazione”, simbolismo che troverà in lui la sua massima espressione proprio perché in questa funzione non avrà né predecessori né successori; per poter esprimere il falso ad un livello così estremo, egli dovrà essere, per così dire, completamente “falsato” da tutti i punti di vista, cioè come l’incarnazione stessa della falsità (6). Proprio per ciò, nonché per la suddetta estrema opposizione al vero in tutti i suoi aspetti, l’Anticristo può assumere i simboli stessi del Messia, beninteso in senso radicalmente opposto (7); la predominanza attribuita in tali simboli all’aspetto “malefico”, o, più esattamente, la sostituzione di esso a quello “benefico”, per sovversione del doppio significato di tali simboli, costituisce appunto il suo marchio caratteristico. Parimenti potrà e dovrà esserci una strana rassomiglianza tra le designazioni del Messia (Al-Masîh in arabo) e quelle dell’Anticristo Messia (Al-Masîkh) (8); ma queste ultime altro non sono se non una deformazione delle prime, così come difforme viene rappresentato lo stesso Anticristo in tutte le descrizioni più o meno simboliche che se ne danno, cosa anche questa assai significativa. Tali descrizioni, in effetti, insistono soprattutto sulle dissimetrie corporee, il che implica che esse siano il marchio visibile della natura stessa dell’essere cui vengono attribuite, ed effettivamente simili dissimmetrie sono sempre segni di qualche squilibrio interiore; è del resto per questa ragione che tali deformità rappresentano delle “qualificazioni” dal punto di vista iniziatici, così come è facilmente immaginabile che possano essere “qualificazioni” in senso contrario, cioè nei confronti della “contro-iniziazione”. In effetti, dal momento che quest’ultima ha una meta opposta a quella dell’iniziazione, è evidente che il suo cammino procede nel senso di un accrescimento dello squilibrio degli esseri, e il termine ultimo di tale squilibrio è la dissoluzione o la “disintegrazione” di cui abbiamo parlato, l’Anticristo deve evidentemente essere il più vicino possibile a questa “disintegrazione”, sicché la sua individualità, mentre da un lato sarà sviluppata in modo mostruoso, si può dire però già quasi annichilita, tanto da realizzare l’inverso della cancellazione dell’ “io” di fronte al “Sé”, o, in altri termini, da realizzare la confusione nel “caos” invece della fusione nell’Unità principiale; e questo stato, raffigurato dalle stesse difformità e sproporzioni della sua forma corporea, è veramente al limite inferiore delle possibilità del nostro stato individuale, per cui il vertice della “contro-gerarchia” è proprio il posto che gli conviene in quel “mondo rovesciato” che sarà il suo. Del resto, anche dal punto di vista prettamente simbolico, e in quanto rappresentante della “contro-iniziazione”, l’Anticristo non è meno necessariamente difforme: questa in effetti, come dicevamo poco fa, non può essere che una caricatura della tradizione, e chi dice caricatura è come dicesse difformità; se così non fosse non ci sarebbe proprio nessun mezzo esteriore per distinguere la “contro-tradizione” dalla tradizione vera, e bisogna pure, affinché almeno gli “eletti” non siano sedotti; che essa porti in sé stessa il “marchio del demonio”. Per di più, dato che il falso è necessariamente anche “artificiale”, la “controtradizione” non potrà mancare, nonostante tutto, di avere quel carattere “meccanico” che è presente in tutte le produzioni del mondo moderno: essa ne sarà anzi l’ultimo prodotto; ancor più esattamente, vi sarà in essa qualcosa di paragonabile all’automatismo di quei “cadaveri psichici” cui abbiamo accennato in precedenza, e del resto, come questi, essa sarà costituita soltanto di “residui” animati artificialmente e momentaneamente, il che spiega la sua assoluta precarietà; quest’ammasso di “residui”, per così dire galvanizzato da una volontà “infernale”, può certamente dare l’idea più esatta di qualcosa che sia arrivato ai confini stessi della dissoluzione.
Riteniamo che non sia il caso di insistere oltre su tutte queste cose; in fondo sarebbe di scarsa utilità la ricerca particolareggiata di come sarà costituita la “contro-tradizione”, e del resto le precedenti indicazioni di carattere generale sarebbero già quasi sufficienti a chi volesse, per conto proprio, applicarle a punti più specifici, cosa che non rientra nei nostri propositi. Comunque sia, siamo giunti con ciò al termine ultimo dell’azione antitradizionale che deve condurre questo mondo alla sua fine; dopo il regno passeggero della “contro-tradizione” non può più esserci, per arrivare all’ultimo momento del ciclo attuale, che il “raddrizzamento”, il quale, riportando istantaneamente tutte le cose al loro posto normale proprio quando la sovversione sembrava completa, preparerà immediatamente l’ “età dell’oro” del futuro ciclo.
Note
1 – E’ incredibile fino a che punto l’espressione “nuova èra” sia stata in questi ultimi tempi diffusa e ripetuta in tutti gli ambienti, anche con significati apparentemente molto diversi tra loro, ma tutti tendenti, in definitiva, a stabilire la stessa persuasione nell’opinione pubblica.
2 – Matteo, XXIV, 24.
3 – Sul Chakravartî, o “monarca universale”, vedere L’Ésotérisme de Dante, cit., p. 76 e Le Roi du Monde, cit., pp. 17-18 (pp. 22-23 dell’ed. it.). il Chakravartî è letteralmente “colui che fa girare la ruota”, il che implica che sia posto al centro stesso di tutte le cose, mentre al contrario l’Anticristo sarà l’essere più lontano da tale centro; egli pretenderà tuttavia di “far girare la ruota” in senso inverso al movimento ciclico normale (cosa “prefigurata”, del resto inconsciamente, dall’idea moderna del “progresso”), quanro invece, in realtà, qualsiasi cambiamento nella rotazione è impossibile prima del “rovesciamento dei poli”, cioè prima di quel “raddrizzamento” che solo l’intervento del decimo Avatâra potrà operare; ma giust’appunto, se l’Anticristo viene designato così, è proprio perché, a modo suo, egli parodierà la funzione stessa di quell’Avatâra finale, il quale nella tradizione cristiana viene rappresentato come il “secondo avvento del Cristo”.
4 – Lo si può dunque considerare come il capo degli awliyâ esh-Shaytân, e, poiché sarà l’ultimo a svolgere tale funzione, funzione che avrà in lui la sua più importante e manifesta espressione nel mondo, si può dire, secondo la terminologia dell’esoterismo islamico, che egli sarà come il loro “suggello” (khâtem); non è difficile immaginarsi fino a che punto potrà effettivamente spingersi la parodia della tradizione in tutti i suoi aspetti.
5 – La stessa moneta, o ciò che ne farà le veci, avrà di nuovo un carattere qualitativo di questo tipo, in quanto è detto che “nessuno potrà comprare o vendere se non avrà il carattere o il nome della Bestia, o il numero del suo nome” (Apocalisse, XIII, 17); è perciò implicito un uso effettivo dei simboli invertiti della “contro-tradizione”.
6 – Vedasi anche qui l’antitesi del cristo che afferma: “Io sono la Verità”, o di un walî come El-Hallâj che dice del pari: “Anâ el-Haqq”.
7 – “Forse non si è fatto abbastanza caso all’analogia tra la vera e la falsa dottrina; sant’Ippolito, nel suo opuscolo sull’Anticristo, ne dà un esempio memorabile, benché non stupefacente per chi abbia studiato il simbolismo: il Messia e l’Anticristo hanno entrambi il leone per emblema” (P. Vulliaud, La gabbale juive, 2 voll., Paris, 1923, vol. II, p. 373). Dal punto di vista cabalistico, la ragione profonda di ciò risiede nelle considerazioni inerenti alle due facce, luminosa e oscura, di Metatron; è per la stessa ragione che il numero apocalittico 666, il “numero della Bestia”, è anche un numero solare (cfr. Le Roi du Monde, cit., pp. 29-30, pp. 35-36 dell’edizione italiana).
8 – Vi è qui un doppio senso intraducibile: Masîkh può essere preso come una deformazione di Masîh per semplice aggiunta di un punto alla lettera finale; ma in pari tempo questo stesso termine vuol anche dire “difforme”, cosa che esprime appunto il carattere dell’Anticristo.
[Brani dal cap. XXXIX de Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi - ed. Adelphi].
domenica 7 novembre 2010
Massoni: nemici dell'autorità
L’unico pensiero che guida le iniziative dei “grembiulini” è il profitto
A un esame superficiale, l’intreccio fra Italia e massoneria, potrebbe apparire assurdo e inestricabile. Prima, quando l’Italia era un’espessione puramente geografica, la Massoneria si diede gran da fare per aiutarla a divenire una nazione; poi, divenuta nazione, si diede ancor maggiore da fare per distruggerla e farla tornare espressione geografica. Ma insomma: che cavolo vogliono, questi col grembiulino? Non lo sanno neanche loro?
Questo potrebbero chiedersi, gli esaminatori superficiali. C’è poi una categoria ancora inferiore agli esaminatori superficiali: quelli che non esaminano per niente, e non sanno che ripetere come pappagalli adulti quello che hanno loro inculcato da pulcini. Per loro, non c’è alcun problema. La Massoneria ha prima liberato l’Italia dalla tirannide straniera, e poi l’ha liberata da quella nazifascista: evviva la libertà! Ma rimettiamo il ciuccetto in bocca a costoro e rivolgiamoci ai superficiali, che almeno pensano!
Considerazione generale: nella realtà non esistono contraddizioni. Se uno ce le vede, deve solo tirare fuori il fazzoletto e pulirsi gli occhiali. Fatto?
La Massoneria non è che la versione iniziatica dell’illuminismo e, come quello, è fondata sull’idolatria della Ragione eretta a divinità. È quindi nemica giurata di ogni autorità fondata su qualcosa di diverso dalla convenienza, e il suo affermarsi fu facilitato dal fatto che ogni autorità del genere (e cioè “i troni e gli altari”) mostrasse per molti versi la corda. ma questo è un altro discorso. Non occorre rievocare il ruolo determinante che le sue logge rivestirono nelle rivoluzioni borghesi di fine Settecento: quella francese e quella americana. Massoni erano gli estensori della parigina Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e i registi della frode con cui essa fu spacciata per approvata dal popolo, e massoni erano i bianchi mascherati da indiani che uscirono dalla loggia di Boston per abbordare la nave del tè e scaricarne le casse in mare. Del tutto ovvio fu quindi il favore che il Grande Oriente di Londra riservò ai primi fautori dell’unità d’Italia. Non che quello fosse travolto da repentino amore per la penisola a forma di stivale: fu che il formarsi di uno Stato italiano avrebbe rappresentato un brutto colpo sia per l’impero degli Absburgo (e le sue dipendenze toscana ed emiliane), sia per il regno napoletano, sia per quello sardo, sia per quello pontificio, che di trono e altare faceva un tutto unico. Peraltro, ci aveva già più volte provato Napoleone (che dello stesso illuminismo rappresentava la versione militare), e gli appassionati ribelli italiani portavano una coccarda dei tre colori che erano stati delle effimere repubbliche francofile e massoniche. Per chi mai avrebbero dovuto “tifare” i fratelli col grembiulino: per il cardinale Ruffo?
Giunti però alla conclusione della prima Guerra Mondiale, con piena soddisfazione dell’autorità massonica, avvenne qualcosa di orribile (dal suo punto di vista). Avvenne che in due nazioni, l’una vincitrice ma tradita dalla pace e l’altra sconfitta ma mai militarmente battuta, lo spirito riprese i suoi diritti e giunsero al potere uomini e idee che, ricollegandosi alle autentiche tradizioni dei due popoli, osarono proclamare la preminenza della fedeltà ad esse sulla gretta “convenienza” economica.
Non che non vi fossero state anche in passato voci in tal senso, rimaste inascoltate. Ma il fatto gravissimo era che, giunte tali “utopie” al potere, non solo non fossero state smentite dall’economia sovrana, ma avessero conseguito successi anche economici così clamorosi da conquistare pacificamente sempre più ampi settori degli stessi popoli di cui la Massoneria pensava di avere il saldo possesso. Ma c’era di peggio: stavolta non si trovavano di fronte i cascami decaduti e svuotati di antiche caste, ma energie giovani e dirompenti, volte verso l’avvenire.
La minaccia di immatura morte degli “immortali principi” percorse come un gelido terrore tutta la Terra ancora retta dagli emissari della Grande Usura, mascherati da “democratici”, tutti insieme, come a un comando unico, percossi dall’orrore che le “dittature” reprimessero gli aneliti di libertà dei rispettivi popoli.
Nessuna rilevanza aveva per loro il fatto che i cattivi tiranni riscotessero punte di consenso popolare che nessuno di loro democratici si era mai sognate, neanche in preda a stupefacenti. Per chi è in malafede, infatti, anche l’evidenza può non avere rilevanza. E fu la grande congiura contro il Tripartito che riuscì a provocare la seconda (e assai peggiore) Guerra Mondiale. Dove mai poteva collocarsi, date le premesse, la massoneria se non fra i più fervidi fautori di quella congiura? E quali altre disposizioni poteva impartire ai propri adepti in Italia, presenti e ben mimetizzati in ogni ambiente, alti comandi militari compresi, se non quelle di boicottare in ogni modo le difese italiane, ponendosi a pieno servizio delle “potenze antifasciste”?
E questo, con assoluta coerenza, essa fece, manovrando ignobili carogne gallonate e poltronizzate, capaci di assassinare a tradimento, con le loro “preziose” informazioni, migliaia di giovani della loro gente mandati volutamente allo sbaraglio. Si tratta degli “articolo 16”, che l’Alighieri avrebbe ficcato senza esitare in Cocito, tra i denti di Satana. Ma mettetevi nei panni e nei grembiulini dei vertici massonici.
Di chi dovevano servirsi, per tale infamante bisogna: forse di galantuomini di specchiate virtù? Se quindi è fuori dubbio che i manutengoli italioti del dollaresco novus ordo seclorum meriterebbero a buon diritto di essere allineati ad ornamento dei bastioni, impalati all’uso turco, è anche certo che le loro alte e fraterne gerarchie si sono sempre comportate con lineare, implacabile coerenza, fedeli ai loro sempre dichiarati principi, senza deviarne neppure di una linea. Non sarebbe il caso che anche noi facessimo altrettanto?
Rutilio Sermonti
Articolo pubblicato su Linea anno XIII numero 225