martedì 6 dicembre 2011

Bhagavad-Gītâ. Commento di versi scelti

Fascicolo n. 43 - Documenti per il Fronte della Tradizione

Bhagavad-Gītâ. Commento di versi scelti
A cura di Mario Polia

Pp. 38 - € 4,00

PREMESSA

La Bhagavad-Gītâ, che tradotta dal sanscrito significa letteralmente “Il canto del Signore Splendente”, è l’opera nella quale l’Essere Supremo, parla ad un Guerriero, Arjuna. Egli è un uomo puro, perché è un uomo intrepido che combatte per la sua gente e per la sua Patria, ma è ancora più puro perché è colto dal dubbio. L’opera, infatti, inizia con Arjuna che esprime dei dubbi sul fatto di dover combattere contro coloro che gli sono legati, contro i propri parenti, e vuole chiarire questo dubbio. L’auriga del carro su cui si trova, colui che tiene le redini dei cavalli e che simbolicamente rappresenta la guida dell’anima e della forza del guerriero è l’Essere Supremo, in una delle sue tante accezioni, Krsna. Il simbolismo del carro sul quale sono posti il guerriero e il suo auriga, riguarda il corpo: nel carro quadrato (il quattro è il numero della materia) coesistono due principi, di cui uno è Arjuna, il guerriero, l’altro è Krsna, colui che conduce i cavalli, ovvero i sensi e le forze dell’anima, alla vittoria. Nella cavalleria medievale abbiamo una simbologia simile, ovvero il cavallo con sopra il cavaliere, che rappresenta l’anima che dirige il corpo al compimento del dovere; sui sigilli templari si trovano due cavalieri sullo stesso cavallo, a rappresentare due nature, l’anima e lo spirito: da una parte la psyche, il coraggio, la forza e dall’altra il nous greco, l’istinto limpido che porta il guerriero a compiere il suo dovere. Arjuna e Krsna sono i due aspetti dell’essere umano, la componente terrestre e quella divina, di cui noi solitamente riusciamo a vedere solo la prima, cioè quella che si manifesta ai nostri sensi, ma non vediamo la parte nascosta e divina.
Quindi Arjuna, prima di combattere, viene preso dal dubbio e getta via il suo arco, rinunciando al combattimento, e solo dopo aver chiarito tutti i suoi dubbi, tramite il colloquio con l’Essere Supremo, che è allo stesso tempo fuori e dentro di lui, riprenderà il suo posto di combattimento. Il fatto di essere preso dal dubbio per poi superarlo è la cosa più importante per il guerriero, che in questo modo supera la propria componente umana per tendere alla perfezione. Non essere mai presi dal dubbio significa essere o ignoranti o stupidi, poiché il dubbio è una componente sempre presente nella nostra vita, e il valore del guerriero si dimostra nella capacità di superarlo. Il simbolismo di Krsna e Arjuna è presente anche in altri miti europei, come quello di Romolo e Remo, che vengono abbandonati in una cesta nella acque del fiume Rumon: essi rappresentano le due componenti presenti nella persona e la cesta rappresenta proprio il corpo nel quale tali principi si trovano. Uno è il principio Solare e Superiore, Romolo, l’altro è il principio terreno e individualista, Remo. Tutta l’opera ruota attorno al concetto di “azione disinteressata”, akarman in sanscrito, ovvero un’azione che prescinde dai suoi frutti e che non è azione in senso stretto (agire senza agire).
Nella Bhagavad-Gītâ ci sono le basi della civiltà europea, soprattutto dal punto di vista spirituale, il quale supera i moderni confini meramente politici, arrivando a comprendere anche paesi come l’India e l’Iran, vista la comune matrice Indoeuropea da cui tale sapienza deriva. L’Europa sarà tale quando potrà di nuovo riconoscersi nel pensiero Arya (dalla radice “ar”, che significa eccellenza e da cui derivano vari termini come aristhos, arethè, armonia, ritus, ritmo), quello di una superiore razza (1) dello spirito da cui fu creata la Bhagavad-Gītâ. L’insegnamento dell’akarman ossia dell’azione senza azione infatti si può trovare in altre opere come l’Iliade, l’Odissea o l’Eneide, appartenenti anch’esse al nostro passato europeo; il mondo moderno, al contrario, fa di tutto per spingere l’umanità a compiere azioni solo per ottenere un tornaconto, un personale profitto. Studiare e riscoprire questi antichi testi è un dovere per riappropriarci della nostra dignità e consapevolezza di Uomini nel senso più alto del termine, appartenenti al grande progetto della Tradizione.

(1) “Ariana” è, infatti, la caratteristica degli uomini che appartengono ad una delle tre caste (sacerdoti, guerrieri, produttori). Non è derivante dall’appartenenza ad una razza biologica (del sangue), bensì da una qualità spirituale.

RAIDO

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