« Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo, il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo. » (John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re)
domenica 21 aprile 2013
XXI APRILE
martedì 17 aprile 2012
Approssimandoci al 21 Aprile - Natale di Roma

Brano tratto da "La razza di Roma", di Massimo Scaligero.
L’essenza del segreto può intravvedersi soltanto se, giovandosi di una visione non scolastica e non razionalistica della storia si tien conto che Romolo, pur adottando l’arcaico rito della fondazione, innesta ad essi atti che presentano significati nuovi. Non è sufficiente riconoscere che tale rito, per quanto di origine etrusca, era comune anche al Lazio e alla Sabina. Nel rito del mundus si realizza il principio della eternità dell’Urbe, in quanto nuovamente lo spirito si traduce in azione, in realtà gerarchica. Per chi se ne interessi, rimandiamo a simboli, come le visioni augurali di Romolo sul Palatino, e poniamo in rilievo che Remo, il quale sta a simboleggiare l’elemento «antigerarchico» proprio al periodo decadente del «matriarcato», viola la intangibilità del solco e Romolo lo punisce. Ciò vuole significare la inviolabilità di ciò che ritualmente è consacrato e l’affermazione del nascente spirito guerriero, «olimpico», antiugualitario, sul vecchio spirito orgiastico, comunistico, anarcoide: è il primo atto di giustizia inesorabile, di un senso di subordinazione assoluta ad un ideale superiore di cui da quel momento la civitas sarà la manifestazione vivente. Occorre saper vedere in tutto questo la morale profonda cui sarà conforme la razza di Romolo: quella stessa gerarchia spirituale che governerà l’associazione sacrale/guerriera, si rifletterà nella vita degli individui, per virtù del continuo imperio del principio cosciente, del nous, della mens, sulle attività esterne, sulla pratica della vita.
Secondo l’arcaico rito etrusco, gli àuguri dovevano levarsi dopo la mezzanotte, in silenzio, e attendere l’aurora. Anche Romolo e Remo dunque si levano post mediam noctem: salgono sulle due alture (tabernacula capiunt, templa capiunt): da questo momento il destino di Roma e della sua razza sta per essere segnato. Gli storici e i poeti qui quasi totalmente concordano nel dirci che Remolo salì sul Palatino e Remo sull’Aventino: due luoghi diversi, due simboli opposti, due tradizioni che si scontrano, epperò ancora due razze.
Occorre decidere del nome della nuova città: si chiamerà Roma o Remora? Sarà re Romolo o Remo? Tutti sono intenti, in attesa del responso che deve venire dalla forza stessa del fato. Il disco bianco della luna tramonta: si soffonde il chiarore dell’alba ed ecco il più perfetto degli augurii: l’aquila di Giove si mostra a sinistra - è già il simbolo della regalità «olimpica» proprio alla razza «solare», che si manifesta ai padri dei futuri dominatori dell’Occidente - e mentre si affaccia il disco del sole, ecco volare rapido uno stormo nero. Chi avesse veduto prima dodici avvoltoi, quegli avrebbe regnato. Primo è Romolo, al biancheggiare del giorno; il popolo esulta: Romolo è consacrato re, sacerdote e duce: è il lare primo, il padre della nuova razza.
E che sia un autentico capostipite lo dimostra la tecnica sacerdotale della fondazione. Egli, consapevole dell’antico rito etrusco, appreso attraverso i segreti libri liturgici - come si legge in Catone, in Servio, in Festo e in Gellio - iniziato a una spiritualissima scienza sacra che completava in lui il guerriero e il fondatore di civiltà, tratti gli auspici, offerto il sacrificio, acceso il fuoco rituale, scavata la fossa circolare, il mundus, e gettatovi il pugno di terra cui era simbolicamente e realmente legata l’anima degli avi, iniziava la possente e misteriosa vita della terra patrum, della terra dei padri, della patria, ossia della terra cui sarà legato il destino della razza.
A suggellare il legame del nume indigete con il centro spaziale della nuova città, ossia a fine di legare al luogo la forza dello spirito, onde il luogo contenga una sua forza «demonica» di patria, di luogo sacro, di effettiva eternità, una larga pietra, il lapis manalis, chiude la bocca della fossa. Viene così costituito il «mondo-infero», che deve accogliere le anime, non i corpi dei trapassati, e donde tre volte l’anno essi emaneranno nel mondo della vita. Allato al mondo infero, vengono erette una colonna di forma conica ed una piramide: ambedue sono sacre ai manes del capostipite e vengono consacrate ai suoi eroismi. È dunque una forza immortale che si sposa alla terra la quale perciò sarà anch’essa immortale. Dopo l’assunzione nel ciclo divino, il fondatore, spiritualmente vivo nel mondo infero, sarà venerato dalla città quale figlio degli Dèi, nume tra i numi, auctor, eroe e parente della nuova stirpe.
Consacrati il mondo infero e quello superno, si procede alla costituzione rituale della topografia della città, sempre in ordine a un antico segreto cerimoniale che Romolo ben conosce. Del cerimoniale non conosciamo che la modalità esteriore, ma anch’essa, per chi sa intendere, ha un linguaggio. Il duce, in candida clamide e il capo velato, secondo il costume sacerdotale, aggiogati all’aratro un bue e una vacca bianchi e robusti, discende dalla collina, seguìto dai compagni silenziosi, ed invocando con misteriose formule di propiziazione il favore delle forze divine comincia a tracciare il solco rituale, badando che all’interno, dalla parte della città, sia la vacca, immagine della fertilità, e fuori, dalla parte della campagna, il bue, emblema della forza. Nel condurre il solco egli, là dove vuole le porte, alza l’aratro, così che non tocchi terra. Poi alzerà le mura di cinta, seguendo la linea del solco, e fuori, rasente le mura, scaverà il fosso di circonvallazione: di qua e di là i due pomeri: uno interno e l’altro esterno: due spazi di terra che non si possono arare né abitare, voluti sgombri e liberi, a scopo di vedetta e di difesa. Le mura sacre qui sorgeranno e nessuno potrà da allora modificarne l’ampiezza e restaurarle senza il permesso dei Pontefici. Ai confini si porranno i titoli dedicati al Dio Termine.
Tracciati i limiti della città, date ai padri le case secondo la designazione della sorte, divulgati i diritti, il duce, seguìto da tutti i compagni, riguadagna la sommità. Indi, gridato il nome divino della città che viene ripetuto a gran voce tre volte dai padri, immola il bianco giovenco con la vacca sull’ara del sommo Giove. Imbandiscono poi le mense e le feste durano nove giorni. Gli oggetti adoperati nel rito della fondazione dell’Urbe si ripongono come sacre nel mundus.
Questo complesso rituale onde Roma, a detta di Ennio, viene fondata con «augusto augurio», contiene i motivi fondamentali che daranno senso d’eternità alla razza, alla città e al suo imperio: esso è l’aspetto cerimoniale di una tecnica segreta mirante ad aggiogare gli eventi secondo un’unica direzione, quella dell’Urbe nascente. È l’iniziale vittoria della razza di Roma sul fato, per un ciclo nuovo dell’Occidente. Tale sarà da allora il significato del Dies natalis Urbis Romae. La fondazione di Roma è dunque un atto costruttivo che muove da un ordine di interiore necessità: essa, mentre è la conseguenza di un trattato religioso tra coloro che dovranno abitarla, in quanto rappresenterà il santuario del culto comune, deve ritualmente costituirsi come causa di cause, come punto di partenza, come motivo radicale di un organismo futuro. È un seme nel seno della terra e, come seme, deve contenere la forza della generazione.
mercoledì 21 aprile 2010
21 Aprile - Natale di Roma

Roma è il luogo fatidico, raggiante di luce, espressione sensibile del Centro, dell’ORIGINE, da cui derivano tutte le cose. E’ il luogo dove le tendenze contrarie si armonizzano, neutralizzandosi in un perfetto equilibrio. Compito di Roma è quello di ristabilire l’ORDINE (cosmos) in un mondo in preda al disordine (caos).
Tramontati gli antichi imperi mesopotamici, il regno egiziano, quello persiano e terminata la breve ed esaltante epopea di Alessandro Magno, il mondo era privo di un centro sacrale e militare irradiante i valori di Ordine, Eroismo, Virilità, Volontà, Gerarchia, Aristocrazia e Impero. In quest’opera di riordinamento gerarchico dell’esistenza, sono state vinte, dalle- legioni romane, le popolazioni latine, etrusche, cartaginesi, galliche, greche e semitiche.
Roma ha riportato la luce di una spiritualità virile, essa “non avrebbe potuto assurgere a tanta potenza se non avesse avuto, in qualche modo, origine divina, tale da offrire agli occhi degli uomini, qualcosa di grande e di inesplicabile” (Plutarco).
L’origine divina dell’Urbe è testimoniata dal mito di Romolo e Remo. Virgilio individua in Enea il progenitore dei Romani. Enea sfuggito all’incendio di Troia approda, dopo sette anni di navigazione, sulle coste del Lazio, dove sposa Lavinia la figlia del Re Latino. Dopo la morte di Enea, il figlio Ascanio fonda sui Colli Albani una nuova città, Alba Longa, dove regneranno 19 suoi discendenti. L’ultimo di questi, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio, che, per assicurare ai suoi discendenti il trono, costrinse l’unica figlia di Numitore, Rea Silvia, a farsi sacerdotessa di Vesta. Rea Silvia viene scelta da Marte per continuare la stirpe d’Enea, da cui sarebbe stata fondata la CITTA’ ETERNA. Dall’unione del Dio e della giovane vergine nascono Romolo e Remo. La nascita non passa inosservata al perfido Amulio che strappa i due gemelli al seno materno, ordinando di buttarli nel Tevere e di far murare viva Rea Silvia. La nutrice a cui i piccoli sono affidati non se la sente di ucciderli, e li deposita in una cesta che abbandona alla acque del Tevere e al volere degli Dèi. La cesta viene trasportata a riva dalla corrente, i due gemelli trovano rifugio presso l’albero di fico “Ruminal”(1) e vengono svezzati da una lupa, per poi essere cresciuti da una coppia di pastori (Faustolo e Acca Larenzia). Una volta adulti Romolo e Remo, venuti a conoscenza delle loro origini si pongono alla guida di un esercito, uccidono Amulio e i suoi seguaci e reìnsediano Numitore, che per riconoscenza concede loro di fondare una città. Per stabilire quali dei due fratelli dovesse tracciare il solco sacro e dare il nome alla città, i due gemelli consultano il volo degli uccelli: Remo dal colle Aventino vede sei avvoltoi, Romolo dal Palatino ne vede dodici. Aggiogando due buoi bianchi(2) viene tracciato il perimetro di Roma, vengono fatti sacrifici agli Dèi e viene acceso un fuoco sacro. Remo sorpreso a saltare per scherno il solco sacro, viene ucciso da Romolo. Era il 21 aprile 753 a.C., NATALE di Roma.
II Mito di Romolo e Remo testimonia l’origine sacra di Roma e Indoeuropea dei romani, restauratori del sacro ordine della Tradizione. Roma nasce sotto il segno del Dio guerriero Marte, e tale paternità sigilla il carattere guerriero e marziale della romanità. L’unione di Marte, espressione dell’aspetto maschile fecondatore dell’esistenza, e di una vergine vestale, espressione dell’aspetto femminile generativo dell’esistenza, testimonia il ritrovato equilibrio fra i due poli opposti ma complementari -maschile e femminile- e l’inizio di un nuovo ordine che avrà come fondatore un eroe divino: Romolo. La nascita di un eroe divino dall’unione fra un Dio e una mortale è un mito ricorrente nei popoli indoeuropei: Zeus e Latona generano Apollo, Zeus e Alcmene generano Eracle, etc. L’abbandono dei due gemelli(3) alle acque e la loro sopravvivenza ripropongono il simbolo dei “Salvati dalle acque”. Ciò rappresenta il superamento del flusso del divenire che travolge e affoga gli uomini deboli, ma che è indifferente a colui che supera la propria natura mortale. Egli è l’EROE, il messaggero della Tradizione, che ha il compito di ristabilire l’Ordine Divino nel mondo.I! fico “Ruminal” presso il quale i gemelli trovano rifugio simboleggia “l’albero del Mondo”, espressione della vita universale da cui traggono nutrimento Dèi ed Eroi (Odino, Eracle, Gilgamesh). Il Lupo rappresenta la forza primordiale e selvaggia della natura ma anche la semplicità, l’asprezza, la forza virile dei conquistatori: è la potenza che rigenera il mondo.I due gemelli rappresentano la lotta fra il principio ordinatore – Romolo - e il caos - Remo.(4) Gli Dèi attraverso il volo dei 12 avvoltoi testimoniano la designazione di Romolo quale fondatore di Roma. Il volo degli uccelli rappresenta la lingua dell’umanità primordiale, la voce degli Dèi. Inoltre il numero 12 è significativo, perchè ricorrente in vari Centri che hanno incarnato e diffuso la Tradizione solare: 12 adityva solari della tradizione Indù, le 12 tappe del cammino del Dio-eroe Gilgamesh, le 12 fatiche di Eracle, i 12 discepoli di Lao-Tze, i 12 Dèi dell’Olimpo greco, le 12 verghe del fascio littorio, i 12 cavalieri della Tavola rotonda, i 12 apostoli, etc. La ritualità seguita da Romolo nel tracciare i confini dell’Orbe, i sacrifici offerti agli Dei indicano il rispetto che il Romano nutriva per le leggi che regolano l’universo. Remo prendendosi gioco del solco sacro sfida presuntuosamente la divinità e ritiene di poter superare i limiti e le facoltà che sono proprie di un comune mortale. Romolo espressione del principio olimpico si oppone alla prevaricazione titanica di Remo, e uccidendo quest’ultimo garantisce il rispetto dell’Ordine.
NOTE
1: Questo nome rimanda all’idea di nutrire: l’attributo di Ruminus riferito a Giove, nell’antica lingua latina designava la Sua qualità di “nutritore”.2: “II duce (Romolo) … comincia a tracciare il solco rituale, badando che all’interno, dalla parte della città, sia la vacca, immagine della fertilità e fuori, dalla parte della campagna, il bue, emblema della forza”. Da “La razza di Roma” di M. Scaligero, pag. 81.3: Il tema dei Gemelli o dei Fratelli si ritrova in numerose tradizioni, come ad esempio in quella egiziana o in quella ebraico-cristiana. E’ il tema di un unico principio dal quale si differenzia una antitesi raffigurata dall’antagonismo tra i due. Uno incarna la potenza luminosa del Sole, l’altro il principio oscuro. In riferimento a Romolo e Remo, il primo è colui il quale traccia il solco e stabilisce così un Limite, l’Autorità, la Legge. II secondo è colui che tale Limite oltraggia, e per questo viene ucciso.4: “Remo, il quale sta a simboleggiare l’elemento antigerarchico, proprio al periodo decadente del matriarcato, vìola la intangibilità del solco e Romolo lo punisce. Ciò vuole significare la inviolabilità di ciò che è ritualmente consacrato e l’affermazione del nascente spirito guerriero olimpico, antiegualitario, sul vecchio spirito orgiastico, comunistico, anarcoide: è il primo atto di giustizia inesorabile, di senso di subordinazione assoluta ad un ideale superiore di cui da quel momento la Civitas sarà la manifestazione vivente”. Da “La razza di Roma” di M. Scaligero, pag. 78.
Tratto da www.azionetradizionale.com